Regia di Derek Jarman vedi scheda film
In quest'opera, la sottrazione dell'immagine non scaturisce, come altrove, da un provocatorio rifiuto dell'autore di declinare il proprio pensiero in sequenze cinematografiche, bensì fa parte integrante della suggestione narrativa. Lo schermo monocromatico è la trasposizione diretta della visione di Jarman, malato terminale di AIDS e condannato da un'infezione retinica ad una progressiva cecità, in cui la realtà circostante assume sempre più le tinte crepuscolari del blu. Un colore che diviene, al contempo, la metafora onirica della morte che si approssima.
Il racconto, reso in prima persona, alterna armonicamente momenti autobiografici e cronaca del tempo, rumori di sottofondo e composizioni musicali, sogno lirico ed incubo allucinato. Le melodie che accompagnano la narrazione, fatta di frasi brevi e scandite lentamente, esprimono appieno l'inesorabile ferocia di un male che divora la percezione fisica mentre acuisce quella della mente. Il mondo va spegnendosi su un'anima che rimane tenacemente viva e vigile fino in fondo, senza eccessi emotivi, al ritmo pulsante di un sentire lucido e profondo. Fino a farci scoprire che "il blu è buio reso visibile." Un richiamo all'essenzialità dell'esperienza umana, in un film tragicamente sublime.
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