Regia di Andrew Davis vedi scheda film
Può una caccia all’uomo, uno dei temi più inflazionati al cinema, risultare ancora una volta interessante ed avvincente? Certo che può, altrimenti non sarebbe nemmeno una caccia all’uomo. Il film di caccia deve contenere necessariamente certe caratteristiche, che sono presto dette: deve correre con la stessa disperazione del fuggitivo per due banalissime e preziose ragioni (immedesimazione e coinvolgimento); deve al contempo stargli con il fiato sul collo (devono quindi esserci un contesto intrigante e uno stuolo di antagonisti credibili); e deve avere una buona ragione tale da giustificare la fuga e l’inseguimento.
C’è tutto questo nel film di Andrew Davis, a suo modo capitale nel genere (sarebbe il remake di una celebre serie televisiva, ma ogni cosa è reinventata con arguzia e professionalità) per due sequenze da antologia: l’evasione del protagonista e il salto nel vuoto. Al centro della scena c’è un uomo comune a cui uccidono la bella e ricca moglie: accusato ingiustamente e ad un passo dalla pena di morte, riesce a salvarsi e si mette alla ricerca della verità, ma viene braccato da uno spietato poliziotto federale.
Con una partenza serratissima con più campi d’azione (una lode all’esercito di montatori accreditati, almeno sei o sette), si entra subito nel film e non se ne esce più grazie alla faccia sbigottita e scoraggiata di Harrison Ford di cui è impossibile non provare pietà e ad una narrazione rapida e trascinante. Alla fine la cosa per cui ci si dispiace di più è la scoperta del tradimento, ma è meglio non rivelare niente. Da notare, invece, il controcanto di Ford, rappresentato da un Tommy Lee Jones che ha un ingresso in scena memorabile e si è portato a casa una valanga di premi come miglior attore non protagonista.
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