Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Il terrorismo brigatista nel 1982, anno in cui fu girato il film, era ancora un nervo scoperto, e solo così si spiegano le polemiche, l'intromissione della produzione RAI e le accuse di giustificazione delle strategie eversive che accompagnarono l'uscita della pellicola. In realtà la vicenda è incentrata sul rapporto padre-figlio, e si esaurisce all'interno di questa ottica. Il titolo del film (me ne sono reso conto solo poco prima della fine) è un gioco di parole, e si riferisce sia all'epilogo finale, sia ad una frase che ricorreva spesso nei comunicati delle formazioni terroristiche, "colpire al cuore lo Stato". Una pecca della pellicola può essere considerata la inverosimiglianza della vicenda: se si dovessero mandare in galera tutti i padri che non fanno fino in fondo il loro dovere ne resterebbero in circolazione pochissimi; altro appunto che si può fare è una certa staticità e ieraticità della recitazione, a parte il caso di Jean-Louis Trintignant, impeccabile e ammirevole. Non mi sembra il caso di addentrarsi nei meccanismi del complesso rapporto tra genitore e figlio o peggio ancora schierarsi, come fecero i critici a suo tempo, a favore dell'uno o dell'altro: ognuno guardi, mediti e tragga le impressioni del caso. Un film comunque da vedere.
Emilio (Rossi) è un adolescente molto bravo a scuola ma alquanto timido ed introverso, che ha un rapporto problematico con il padre, Dario (Trintignant), docente universitario. La consapevolezza della relazione di quest'ultimo prima con un suo ex-studente divenuto terrorista che viene ucciso in uno scontro con le forze dell'ordine e poi con la di lui vedova che è ricercata dalla polizia pone il protagonista di fronte al dilemma se denunciare o meno il genitore verso il quale nutre sempre meno stima.
La regia è accurata ed attenta, come è prevedibile in un'opera prima, ma a tratti non priva di enfasi e leggermente stucchevole, come nella scena in cui il protagonista si affaccia alla finestra e gli altri tre lo fissano, immobili.
Grandioso, di un livello superiore, volendo essere cattivi (col resto del cast) sembra l'unica persona viva in mezzo a degli zombie. Non c'è un gesto, uno sguardo, una parola che non siano vivi e densi di significato.
Figlio del celeberrimo architetto Aldo Rossi e di Sonia Gessner, che interpreta sua madre nel film, fu insignito nel 1983 di un Nastro d'Argento e di un David di Donatello come miglior attore esordiente per la sua interpretazione in questa pellicola, ma nonostante questi riconoscimenti non volle girare nessun altro film. Mi si perdoni la battutaccia, ma io trovo che abbia due espressioni: una con la macchina fotografica e una senza la macchina fotografica.
Dotata di notevole fascino e di una inquietante bellezza, la sua interpretazione è però algida e distaccata; se è stata una scelta del regista, ahimè, io non l'ho capita.
Madre del protagonista sia nella finzione che nella vita, la Gessner se la cava abbastanza bene nelle due sole scene in cui fa la propria apparizione.
Ingiudicabile, viene ammazzato all'inizio del film, per lui solo poche battute.
Molto piacevole, quasi tutta musica classica scelta con ottimo gusto.
Nulla di completamente sbagliato, il film è da prendere così com'è.
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