Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Il primo film di Gianni Amelio per il cinema è un opera spiazzante, rivoluzionaria e utopistica. Il rapporto tra Dario padre borghese e intellettuale e Emilio figlio adolescente e studioso è alla pari. L’autorità paterna non esiste, la serietà sembra appartenere più al figlio che a un genitore laico e liberato da un ruolo familiare tradizionale che non vuole avere. Negli scambi-scontri, non solo dialettici, tra i due si sente l’assenza di una figura femminile, presenza familiare che sembra avere esaurito il suo compito di madre e di moglie, creando di fatto un orfano e un vedovo. Il vuoto affettivo che si crea attorno ai due per il padre è colmato dal rapporto particolare con una coppia di terroristi, uno dei quali ex-allievo del professore milanese, per il figlio l’unico riparo resta quello di costruire con il padre un rapporto profondo, leale e moderno senza soggezioni o modelli da imitare. Tra il genitore insegnante e il figlio studente il confronto non è mai scolastico o didattico ma sempre uno scambio reciproco sulle cose. Il passato del padre lo lega nel presente alla storia violenta di un paese che non vuole superare certe contrapposizioni certe posizioni intransigenti per le quali il terrorismo sia una continuazione della resistenza partigiana. Il figlio che ha imparato a ragionare con la propria testa sa quello che si deve fare per colpire al cuore il problema. L’unico familismo possibile è quello morale per Emilio e la sua generazione cresciuta senza vincoli patriarcali. L’unico privato possibile è quello coerente con il pubblico per una generazione come quella di Dario che non può recuperare la perdita di autorità. Gli anni ottanta saranno populismo e voyeurismo qui rimangono incorniciati tra un inizio illuminato e illuminante e una fine uggiosa e claustrofobica. Un film prezioso e raro per un paese in cui niente passa veramente perché i figli accettano sempre di diventare come i loro genitori.
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