Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
In diretta (o in leggera differita, dipende da come la si vede) dall’età del terrore, Gianni Amelio fotografa col tono del mèlo al calor bianco una storia crudele e necessaria sulla ricerca della verità riguardo l’amore, mettendo al centro della scena personaggi in preda all’incomunicabilità sentimentale sotto la scorza della chiacchiera intergenerazionale. Film di generazioni che si scontrano di fronte all’ineluttabilità dell’essere umani a contatti col disumano, colorato in modo così gelido da risultare ossimoro per quanto infine coinvolga, vive di presenze che sono assenze (un padre dalla doppia vita), di assenze che non sanno essere presenze (una madre che resta sullo sfondo, con le cuffie alle orecchie come se non volesse sentire la cronaca dell’orrore), di assenze che vorrebbero essere presenze (la giovane amante) e di presenze consapevoli di non poter essere assenze (il figlio).
Conflitto terribilmente crudele tra un padre che non è in grado di rinunciare alla propria giusta causa e un figlio che forse ha bisogno di una propria economia sentimentale da affiancare agli ideali nudi e crudi, inevitabilmente destinato al dolore perfetto – che si fonde brutale con l’ingiustizia sentimentale e la giustizia vera e propria – e duramente etico nella sua volontà di scoperchiare il vero, è un film che, come dice il titolo, colpisce al cuore in maniera rigida e sinistra, con uno stile secco, freddo, puntuale. Jean-Louis Trintignant è perfetto nella finta imperturbabilità del suo docente quintessenza dell’ambiguità, e Fausto Rossi è più che lodevole negli scomodi panni del figlio anche a suo modo oscuro.
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