Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
“Prima di tutto, vorrei dirvi perché ho deciso di fare L'Orestiade di Eschilo nell'Africa di oggi. La ragione essenziale, profonda è questa: che mi sembra di riconoscere delle analogie fra la situazione de L'Orestiade e quella dell'Africa di oggi, soprattutto dal punto di vista della trasformazione delle Erinni in Eumenidi. Cioè, mi sembra che la civiltà tribale africana assomigli alla civiltà arcaica greca e la scoperta che fa Oreste della democrazia – portandola poi nel suo paese, che sarebbe Argo nella tragedia e l'Africa nel nostro film – è in un certo senso, diciamo così, la scoperta della democrazia che ha fatto l'Africa in questi ultimi anni.”
Tra dicembre '68 e gennaio '69 Pier Paolo Pasolini effettuò due viaggi in Tanzania e in Uganda, allo scopo di raccogliere materiale ed informazioni utili per girarvi un film sull'Orestea, una tragedia di Eschilo; un film che poi non è mai stato girato, di cui resta questa dichiarazione d'intenti in chiave docufilmica. Pasolini spiega con la voce fuori campo motivi e significati di una simile idea, oggettivamente ancor più balzana e allegorica del suo “Edipo re” in Marocco e della sua “Medea” in Cappadocia, palesando un'interpretazione personale che sarebbe assai probabilmente risultata incespicante e contraddittoria. In questi 70 minuti di testimonianza hanno trovato spazio anche estratti di dialoghi tra Pasolini e gli studenti africani dell'Università La Sapienza di Roma, i quali, pur privilegiati figli di un'Africa agiata e minoritaria, stentano a ritrovarsi nelle cervellotiche considerazioni dell'intellettuale.
Durante i suoi soggiorni africani Pasolini ha preso appunti, selezionato ipotetiche location, ravvisato difficoltà nel rappresentare la trasformazione delle Furie (le Erinni secondo la mitologia romana), assemblando un documento disomogeneo e ad ogni modo prezioso. Desta curiosità la decisione di inframezzarlo con 10 minuti filati di jam session registrata presso il locale Folkstudio di Roma e guidata dal sax di Gato Barbieri, maestro del free jazz, genere che avrebbe dovuto costituire una colonna portante del film ed incarnare l'imperituro, vivace, prolifico disordine della rinascita africana.
“Da queste prime risposte mi pare che voi avete messo l'accento sul fatto che venendo – come Oreste – in un mondo moderno, conoscete qualcosa di nuovo e di positivo, in un certo senso. Ma siete sicuri che tutto ciò che conoscete del mondo occidentale sia completamente positivo e quello che avete lasciato no?”
“Non credo che sia completamente negativo il mondo che abbiamo lasciato e che la nostra somiglianza con Oreste è piuttosto – diciamo – formale. Non è che veniamo a scoprire un mondo migliore: scopriamo un mondo nuovo.”
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