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Appunti per un'Orestiade africana

Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film

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La recensione su Appunti per un'Orestiade africana

di sasso67
8 stelle

Dovendo classificare questo "film" entro schemi predefiniti, è ovvio che si debba inserire nella casella dei documentari, però l'approccio di Pasolini è assolutamente quello del poeta, più che quello dell'etnografo. Anche perché, sostanzialmente, il regista ha già un'idea dell'Africa, da lui avvicinata all'antica Argo, città scenario della tragedia degli Atridi. In realtà, il confronto (meritorio, da parte di un intellettuale che non esitava a mettere in discussione le proprie idee) con gli studenti africani dell'Università di Roma ci fa capire che già parlare d'Africa - anche quarant'anni fa - era un azzardo. Da Tripoli a Città del Capo esistono una miriade di afriche, l'una diversa dall'altra, anche a pochi chilometri di distanza. Per di più, mentre l'Argo dell'antica Grecia era, rispetto ad Atene, una città giuridicamente arretrata, ma pur sempre vergine, l'Africa ha conosciuto, nel corso dei secoli, una serie forse innumerevole di tentativi di "civilizzazione" (ma sarebbe meglio parlare di colonializzazione), per cui, se nel nord è forte l'impronta araba, nell'Africa centromeridionale l'influenza anglofrancese è ancora fortissima. Per questo è fondata l'opinione dello studente che sostiene che probabilmente nell'Africa attuale le Eumenidi non si possono semplicemente sostituire alle Erinni, ma saranno costrette a convivere con esse. Del resto, in tutto il mondo, le periodiche esplosioni di violenza collettiva, a volerle guardare con l'ottica di Eschilo, non sono che le ricorrenti epifanie delle Furie, che si mostrano nella pulizia etnica dell'ex Jugoslavia o nella faida tra Hutu e Tutsi del Rwanda. In ogni caso, lo sguardo poetico pasoliniano fornisce un'interessante chiave di lettura delle varie società africane ad una decina d'anni dall'indipendenza della maggior parte di esse. Il poeta è affascinato dai volti e dai luoghi che si trova davanti: ogni contadino, ogni capanna, ogni segno dell'invadenza della colonizzazione occidentale (ma anche orientale, come si vede dagli edifici costruiti dai cinesi) acquistano, ai suoi occhi, un valore pregnante. Il sole africano e l'occhio del poeta riescono a dare alle cose un rilievo che sfugge all'uomo comune occidentale. Peccato che il film africano sugli Atridi non sia stato fatto. Qualcosa di simile tenterà, parecchi anni dopo, Otar Ioseliani con "Un incendio visto da lontano".

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