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Una storia semplice

Regia di Emidio Greco vedi scheda film

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La recensione su Una storia semplice

di lamettrie
8 stelle

Un giallo classico, alla Sciascia. Il merito del film va dunque innanzitutto al soggetto, l’ultimo romanzo del “maestro elementare” Sciascia. È un film sottovalutato, e forse nascosto, perché induce il dubbio sugli abusi di potere, con risvolti criminali (droga; assassinii; ricettazione di opere d’arte, come il Caravaggio cui si fa implicito riferimento, che effettivamente venne rubato nel ’69 a Palermo) di due istituzioni tradizionali tricolori: i preti e le forze dell’ordine. L’illuminista Sciascia qui denuncia il pregiudizio che fa credere a priori innocenti rappresentanti di quei due corpi.

Volontè, nei panni del vecchio professore disincantato, incarna la visione dello scrittore: che non ha fiducia nelle versioni ufficiali, che ha imparato  essere molto più vicine al falso che al vero.

Splendida è la soluzione finale: invece di tentato omicidio, scientemente gli inquirenti scegono il falso, cioè la pista dell’incidente, per non screditare le forze dell’ordine, il cui rappresentante lì si era macchiato di plurimi reati. La solita pulitura d’immagine, insabbiamento che è un classico della storia siciliana, meridionale, italiana, ma non solo. Con ciò fa il paio la volontà aprioristica, ossessiva, degli inquirenti di ridurre il primo delitto a un semplice suicidio. «ll caso è così chiaro», dice D’Apporto: “una storia semplice”, appunto, come dice il titolo. La fretta di chiudere il caso, per non scoperchiare altre pentole, ma creando a propria volta il falso in modo gravissimo, si riconduce solo a questo: tutelare i delitti dei potenti, da parte di chi un potere già ce l’ha, e vuole mantenerlo e ampliarlo. E l’ultima scena è ancora più eloquente: lo “straniero” venuto da Verona si era messo al servizio della legge; ma quando ha capito che i tutori della legge tutelano l’illegalità ben più che la legalità, e che fare il proprio dovere di cittadino onesto gli si può ritorcere contro proprio per le disonestà delle istituzioni, allora quello fa marcia indietro. Deve andare a denunciare, ma non lo fa: sa di aver fatto il possibile, che è pochissimo, però, nel complesso. Il muro di ingiustizia, eretto dalle istituzioni, non si può scalfire, e spegne sul nascere qualunque buona intenzione in futuro.

La sceneggiatura, curata, ma un po’ lenta, ha i due guizzi verso la fine: splendidi il duello che risolve la vicenda, come anche l’illuminazione sul prete. Il quale è interpretato benissimo da Omero Antonutti, altro grande vecchio del film assieme al sempre inarrivabile Volontè (ben truccato: qui a 58 anni ne dimostrava 70, almeno). Ma tanti altri interpreti maschili recitano bene, in un cast splendido per allora (si era nel ’91); eccezion fata per il vero protagonista, un Ricky Tognazzi decisamente innaturale, in un ruolo splendido e difficile, superiore alle sue capacità. Fantastichini è mirabile per il modo con cui bluffa, e lo spettatore può arguire ciò solo alla fine: altro merito da “giallo” del libro e del film, adattato da Andrea Barbato e da Greco, impeccabile anche in regia. E impreziosito dalle musiche di Bacalov.

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