Regia di Jerry Schatzberg vedi scheda film
La cenere che cosparge gli occhi “arrochenti” di due “perdenti” illuminati dai crepuscoli fotografici di Vilmos Zsigmond, una “Z” capolinea senza diagnosi da Freud il quasi omo(nimo)...
Ieri sera, e poi il tramonto scrosciante in sgorgar mio malinconico, quando mi sovviene che l’aurora del domani, ancora fosca, non mi temprerà di solarità. Incantato dalle nebbie, al di là d’una finestra “spenta” eppur d’adocchianti luci del cortile dirimpetto, forse abitato da condomini passionali nel primo incedere sanguigno dei sessi coniugali oppure “indaffarati” in faide famigliari, fra tribolanti bambini già insonni e intonanti una pubertà “stramba”, promiscua d’adolescenti nei primi gineprai dell’acerba età dubbiosa, impertinente e svi(t)ante, le apprensive madri “educande” in Domenica “ammuffita” del Lunedì già alle porte, lavorativo e ingombrante nei ricatti impiegatizi e ricotte sognate ma mai davvero am(br)ate, maschi, forti e non, forse dinanzi allo specchio a tornire i muscoli tra bilancieri edonisti d’un buio sempre più egoista e lussurioso al sé omologante. Appaiono, spariscono, li intravedo.
Apro così il frigorifero, strappando il latte dalla “mensola” dei miei casini mentali, stappo e verso nel bicchiere più “abusato” dalle mie labbra. Lo lavo poco, tanto è il mio, al massimo i germi, raggrumati nell’essiccazione salivare, aromatica della mia lingua ivi stampata, imprimeranno il retrogusto dolce del già aver allattato granulosità bianche a mo’, amorevoli, di cosce d’una donna che ho scopato molte volte. Ne annuso l’odore ancor bagnato, sbaciucchio i bordi del bicchiere “pruriginoso”, inghiotto di tutto glup e altre ne scolerò nel “rigurgito”. Stupendo quanto triste perché è solo liquido denso ma non inseminante amplessi ingurgitanti.
Seni materni, gioiosi e voraci, vi desidero qui eterni ed eburnei a incendiarmi di suzione. Assetato di memorie in tal notte traslucida come il vetro appannato... soltanto. Nessun Sole albeggerà e reprimo i capricci “proibiti” d’altro versare sbuffante e lagrime “verganti” sangue liscio a lama di rasoio. Ma proprio mentre, non dormiente e incattivito, sto per accomiatarmi da tal guaito pensiero di me sgualcito e non in lei “guar(n)ito”, ecco che spunta di fronte ai miei occhi il giovane, bel Al Pacino. Lo visualizzo, appena “ubriaco” di delirio virginale com’appunto l’innocuo latte non alcolizzante. Purezza totale... poi, al suo fianco, compare anche Gene Hackman. Due giganti, uno più timido e l’altro apparentemente più stronzo. Chi è dei due lo spaventapasseri? Ebbene, lo scarecrow è Al Pacino, detto “Lion”. Leone per nulla.
Pagliaccetto di corte senz’arte né parte, come si suol dire. Colui che fa ridere gli uccelli... Gene, invece, è la sua “nemesi” amica. Caratterialmente robusto, debordante, anche troppo. Con tutta probabilità, fragile quanto Lion. Due (in)felici sentimentali. Uno, uscito di prigione, che vuole imbarcarsi nel “sogno” d’aprire un autolavaggio, l’altro che sinceramente si lascia trasportare dal vento. Sbandati, persi, uomini veri in un Mondo alla (de)riva degli oceani d’amore dimenticati dal cinismo, dal capitalismo, dall’industrializzazione delle anime. Quelle più nobili, prima o poi, crollano. E, di notte, si recita sul palco delle speranze che, appunto, si speravano e purtroppo son state speronate dalla realtà senz’applausi. Ne succedono tante, incontri casuali, stravaganze, due cavalli da “cuculo” a inseguire il profumo del plenilunio. Donnacce, figli di puttana, abusi e pugni in faccia.
Dai, ce la possiamo fare.
Tante mete, tante città, tanti binari e ultimi treni... Detroit coincide con la fine. Giunti a Detroit, infatti, nonostante gli sforzi, la disperazione che se l’è quasi cavata, Lion telefona all’ex moglie. Sorride, le chiede come sta. Lei lo odia, lo odia nonostante Lion la mantenesse con tutti gli “stenti”. Assurdo, no? Lion le domanda se può rivedere il figlio e la donna gli rivela che è morto. Lion esce dalla cabina telefonica, sembra che non sia successo nulla. S’immerge in una fontana per giocare con dei bambini. Gene/Max s’accorge che qualcosa non va... Una madre grida, forse il suo bambino sta affogando, Max “salta” nella fontana... Lion trema, farnetica, ha gli occhi fuori dalle orbite, com’assalito dalla pazzia. Sviene.
Lo portano in ospedale, lo diagnosticano schizofrenico, e subito decidono di spedirlo in manicomio. Max capisce che la “frattura” di Lion è stata dovuta alla telefonata. Intuisce che è stata quella la ragione... ma non può fare nulla. I medici non gli prestano fede. Max & Lion, entrambi morti. Vivi nella società dei fantasmi. Lion sarà presto “lobotomizzato”, gli bruceranno il cervello. Max, grazie al suo amico, aveva riacceso la Luce... una fiammella durata un attimo lungo una vita, arsa oramai per sempre. Ed è Notte. Comunque, mi sveglio, fuori oggi (non) piove. Di solito, ultimamente, la light of day c’era.
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