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Blow Up

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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La recensione su Blow Up

di yume
10 stelle

“Non ho nulla da dire, ma forse ho qualcosa da mostrare” questo affermava Michelangelo Antonioni e da qui allora bisogna partire.

Presentato in versione restaurata nella sezione Cannes Classics, a cinquant’anni dalla sua vittoria alla Croisette, di Blow-Up diamo la sinossi scritta dallo stesso autore:

“E’ la storia di una giornata nella vita di un fotografo e di quello che scopre in quel giorno. Al parco fotografa due persone e, più tardi, riguardando le fotografie, si accorge di qualcosa che non era riuscito a vedere. Un elemento di realtà che sembra reale e che, in effetti, lo è. Tuttavia la realtà contiene un surplus di libertà difficile da spiegare. Alla fine della giornata, il fotografo ha imparato diverse cose, come ad esempio giocare con una palla immaginaria, che dopotutto non è così male come risultato. Blow-Up è per certi versi come lo Zen: se cerchi di spiegare qualcosa, la tradisci.

 

 

Sguardo vorace” che si appropriava con gli occhi delle cose, andava oltre le cose con la mente ma allo sguardo ritornava per declinare le sue avventure, tante e sempre diverse, spazi, territori, campagna e città, per Antonioni non ci sono mai stati confini.

Basti pensare ai corti degli inizi (Gente del Po 1947, N.U. (Nettezza Urbana)1948, L’amorosa menzogna 1949, Sette canne, un vestito 1949, Superstizione 1949, La villa dei mostri 1950, La funivia del Faloria 1950), realtà che trasfigurava in artificio ma restava comunque reale finendo per trasmetterci delle genti che negli anni ’50 popolavano quelle terre la loro miseria più di quanto fosse possibile fare con i mezzi del tempo.

 

Blow up si tuffa nella Londra alla moda del ’66, la Swinging London, come la definì Time, percorsa da esplosioni di musica, moda, Beatles e Mary Quant, collant colorati su gambe da fenicotteri e band che distruggevano chitarre costosissime dopo averle suonate, fumo e amore libero, performances di teatro live e strade che diventavano palcoscenico.

Tempo qualche anno arrivarono molotov e camionette della polizia con gli idranti, ma per ora si poteva ancora sognare, e se a sognare era un ricco fotografo che girava in rolls decapottabile, con un loft in un quartiere esclusivo della vecchia Londra e intorno un nugolo di ragazzette starnazzanti che pregavano di essere fotografate da lui, il cocktail era perfetto, non restava che berlo e partire per il proprio viaggio allucinogeno.

 

Ma poi arrivò Antonioni a suggerire che l’allucinazione è forse più reale di quanto non sia quella che chiamiamo realtà.

Blow up è un pianeta dal fascino multiplo, smetti di considerare un quadrante e devi subito passare all’altro, senza soluzione di continuità, come gli scatti di una Reflex, vanno avanti senza posa e catturano angoli di uno spazio, micro-segmenti di un insieme, parti di un tutto in cui il tutto si riflette per intero.

La bellezza al primo posto nella scala dei valori ottici.

 

Si comincia con Veruschka, l’erotico che si fa moda, lei “camaleonte psichedelico” già in Blow up prima di diventarlo nel regno della body painting anni settanta, in seduta di posa con David Hemmings/ Thomas che la riprende da tutti i lati. Una visione orgasmica che fece penare i censori dell’epoca.

 

Sfilano poi ninfette in pose stereotipate con abiti mod presi a Carnaby street, altre due investono Thomas fino in studio per avere un servizio da lui e si scatena così una specie di action painting fra pannelli colorati che si accartocciano in mezzo ai corpi nudi.

 

Vanessa Redgrave è la ninfa misteriosa del parco che appare e scompare, di lei neppure un telefono, quello che dà a Thomas è un inganno, l’obiettivo del fotografo ha centrato il suo abbraccio con un uomo in mezzo ad un mare di verde e fruscii di foglie, e il mistero dell’immagine si dipana da lì.

Siamo al nodo centrale, dopo la Bellezza il Mistero della Morte.

Ma poiché l’obiettivo ha vita propria, dietro quello che Thomas credeva di riprendere c’era altro.

 

Qualcosa spunta dietro i cespugli in fondo alle foto.

Blow up… Blow up… Blow up… ingrandimenti, l’immagine si sgrana, sfoca, c’è un cadavere, ora si vede, anche se male. Thomas va di persona, nel parco, di notte. L’uomo è lì, con gli occhi sbarrati. Il mattino dopo non c’è più.

Noi pensiamo: “ Normale, l’hanno tolto quelli delle pulizie o chi l’ha ucciso è tornato per farlo sparire o… chissà…”.

Antonioni no, è lui l’artista che plasma la sua materia, noi siamo semplici uomini a cui basta credere che una rosa è una rosa.

Dunque il teorema: quello che vediamo è illusione, la vida es sueño, nel relativismo conoscitivo che ci contraddistingue inutile cercare un principio assoluto. E’ la parola, il logos, quello che domina, e il logos è pensiero che si traduce in visione. E poiché valori e norme variano col variare degli interlocutori, il cinema funge da arbitro e si pone nel mezzo.

Come in una partita a tennis: flip… flop…flip…flop, la pallina cade oltre la rete, Thomas è gentilmente richiesto di andare a raccattarla.

Lui va, la soppesa un po’, la lancia.

Poi sparisce nel verde.

Ma la pallina? La pallina c’è, si sente il rumore, basta crederlo, anche se non si vede.

David Hemmings

Blow Up (1966): David Hemmings

 

APPENDICE

Pensare di assistere a Blow up oggi, al cinema, come di solito accade con i bei restauri, che ammiriamo, amiamo, ricordiamo quando e se vedemmo l’opera in passato, ma tutto ben sapendo di muoverci a ritroso, à rebours, finendo per rimpiangere i bei tempi andati, questo Blow up non lo consente.

Il film ha 51 anni, che nella scala temporale del cinema valgono il doppio, ma nulla in questo film sa di passato, e non si parla solo di significato, poetica, visione del mondo, cose che, anche se dette e pensate secoli fa, possono risultare sempre attuali (e quello che contiene Blow up lo è, e molto, le sue anticipazioni sul “fare cinema” sono di valore perenne).

Qui c’è molto altro, si parla di un universo filmico che è forma e contenuto in un unicum così saldo che pensare all’uno senza l’altro è impossibile, e ci lascia sbalorditi la modernità, la freschezza, l’impressione forte, uscendo dalla sala, quasi di aver visto l’ultimo Palmarés, o l’Orso d’Oro dell’anno in corso o il Leone veneziano finalmente finito in mani felici, non un film di mezzo secolo fa.

Luca Bigazzi e tutto lo staff di tecnici dediti al restauro hanno fatto miracoli, è il caso di dirlo. Antonioni, dovunque si trovi, ne sarà felicissimo e la sua Ferrara, dove imparò ad amare la luce, i colori, il mistero delle strade che sembrano sfumare nel nulla delle nebbie padane, non potrà che gioire con lui.

Alcuni anni fa il Palazzo dei Diamanti gli dedicò la più bella retrospettiva mai fatta per i figli celebri di quella nobile città. Fu lì, da quel recupero memoriale ricchissimo e accuratissimo, che il pubblico dei cinefili (e si spera anche quello di chi troppo cinefilo non è) imparò a capire di Antonioni quello che ancora restava da capire.

Per una descrizione di quella mostra si rimanda al luogo appropriato: https://www.indie-eye.it/cinema/strana-illusione/lo-sguardo-di-michelengelo-antonioni-e-le-arti-fino-al-9-giugno-a-ferrara.html

qui va ricordata qualcosa che da quelle visioni emerse e che oggi il ritorno di Blow up sullo schermo non fa che confermare, verificare, approfondire.

La profonda intelligenza dell’artista di fronte al mondo e la sua inestimabile presenza fra noi, per aiutarci a capirlo.

 
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