Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Forse è il film più famoso del fantomatico Michelangelo Antonioni, ancora oggi considerato uno dei migliori rappresentanti del cinema italiano di quegli anni. Ciò non vuol comunque dire che sia chissà cosa: è emblematico, troppo emblematico, in un modo tale da apparire piuttosto prolisso, è inizialmente (ma forse lo è per tutto il tempo ed io non l'ho capito) allegorico, ma via via che si va avanti ci si accorge che l'argomento in questione non è quello che ci si poteva aspettare e che le varie figure simboliche appaiono prive di un reale significato. Sembra iniziare come uno psico drammone borghese in bilico tra la falsità de La dolce vita di Fellini e la potenza narrativa Teorema di Pasolini, con le varie manie della tanto disprezzata classe sociale fra cui la ricerca della vera bellezza, il sesso utilizzato come puro e semplice passatempo come potrebbe essere giocare a poker, l'arte che diventa sinonimo di inutilità ma allo stesso tempo di felicità (e ciò potrebbe essere letto in due modi diversi, il primo è che la felicità è inutile ed il secondo è che la stessa è basata su delle inutilità che la rendono una piacevole illusione), e il rifugiarsi nelle vite e nelle trasgressioni altrui per sfuggire ai propri problemi. Solo che ci vengono infilati nel mezzo tanti inutili infiorettamenti, come il ritratto (apparente) di un'epoca storica, la caratterizzazione del protagonista che appare volutamente (ma anche inspiegabilmente) fastidiosa, egoista, impregnata di menefreghismo nei confronti di chi lo circonda, e poi la parte da pseudo thriller hitchcockiano, tirata per le lunghe come non mai in sequenze interminabile che effettivamente significano poco. Tutta questa carne messa al fuoco, finisce per annullarsi da sola, facendoci rendere che conto che le manie mostrate, i dettagli irritanti e scabrosi della storia e delle immagini, le illusioni ed il mistero che si va a creare, riguardano solo l'universo in cui è rinchiusa la mente del protagonista, in altre parole il film viene costruito addosso ad una persona sola basandosi sui suoi pensieri individuali, che non servono in alcun modo ad arricchire la conoscenza emotiva o tanto meno informativa dello spettatore. Per saperlo meglio bisogna conoscere Antonioni fino in fondo, ma da quello che appare in questo suo successo, l'”incomunicabilità” (quella formata dall'assenza dei dialoghi, da elementi che stanno a metà tra il reale e l'illusione, e quella che più di ogni altra forma di confusione tende a creare il caos e la paura nel cuore delle persone), proprio perché tale, non può essere espressa mediante una storia così banale, tarpante e priva di significati ben precisi (se non per quello che riguarda la costruzione narrativa classica del thriller), ed il risultato finale non più che essere quasi amorfo, cosa che invece era stata drasticamente evitata nell'ermetico e claustrofobico Il deserto rosso, il precedente film del regista (a parte I tre volti). Comunque, al di là di tutto, rimane un'opera discretamente affascinante nei suoi tempi dilatati e nelle sue immagini fredde, e che merita rispetto solo per il suo valore storico ed artistico.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta