Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Michelangelo Antonioni, il cantore dell’incomunicabilità nel cinema italiano tra gli anni ’50 e ’60, si trasferisce oltre il canale della Manica e arriva in quel di Londra. Con l’amichevole complicità di Tonino Guerra, rifacendosi ad un racconto di Cortázar, gira un film che, come sua abitudine, ha l’intento di mandare in crisi lo spettatore. “Blow up” è un enigma, un’opera che incanala certamente in un tunnel di interrogativi e domande e, solo per questo, può ritenersi un film più che soddisfacente. Ma non liquidiamo così un film tanto complesso da capire e da spiegare. C’è un fotografo, annoiato e brusco nei rapporti umano con coloro che reputa inferiori a lui, che un bel pomeriggio, non facendosi i cazzi suoi, immortala le scaramucce di due innamorati in un parco. La donna si accorge di lui e pretende il rullino. Perché? È un’amante? Non lo sappiamo e quasi non ci interessa. Il nostro sviluppa le fotografie e, dopo un’attenta, scrupolosa osservazione delle immagini si rende conto che nel luogo dell’incontro dei due v’era un morto nascosto tra i cespugli. Si reca nel parco e trova il cadavere. Lo riferisce ad uno dei suoi pochissimi amici, che non li da retta. Quando torna sul posto dopo qualche ora non trova più il morto. Che fine ha fatto? Ma c’è mai stato un morto lì? L’ho visto? Se sì, chi l’ha tolto? Se no, che cosa m’è successo? Conclusione: la vita è un sogno e niente è come sembra. Tanto vale lanciare una pallina che non esiste. Ed emblematica quella scena finale con quegli artisti concettuali che mimano una partita di tennis. Sono la dimostrazione che la realtà non è come appare, che tutto è un sogno, che l’irrealtà si è definitivamente insinuata nella verità. Con questo film per certi versi allucinante e pazzesco, Antonioni sperimenta nuove forme di comunicazione artistica, anche mediante l’uso di musiche inusuali ma parecchio in voga in quel tempo. Il rock, non ancora durissimo, inglese s’inserisce benissimo in questo apologo sulla umanità che ci circonda, in una Londra che più Londra non si può, piena di contraddizioni e perennemente uggiosa. Fotografia splendida di Carlo Di Palma. “Blow up”è un’opera d’arte fatta di silenzi e riflessioni, un film profondo ma anche commestibile per tutti coloro che non si limitano alla superficialità, che scavano a fondo alla ricerca di una salvezza, in questa vita che non è più lei.
Molto azzeccata, un valore aggiunto del film.
Voto: 8.
Anche lei non compare molto -il protagonista assoluto è Hemmings-, ma fa la sua porca figura.
Appare per pochi momenti del film, ma la sua è una presenza radiosa e notevole.
Sempre in scena, è strepitoso. E anche portatore di una sana e insospettabile carica sensuale: lo sguardo insinuante e allucinato, l’aria scomposta e disordinata, la faccia da schiaffi. È quando si spoglia, sancisce definitivamente che non bisogna per forza avere muscoli per essere sexy. Lo si può anche essere come lui, con nonchalance e trascuratezza. Grazie David per avercelo fatto capire!
Eccellente, profonda, riflessiva.
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