Regia di Alan Crosland vedi scheda film
A New York, il figlio di un cantore di sinagoga ha una passione per la musica moderna: sfidando le ire del padre, che vorrebbe avviarlo a seguire le sue orme, se ne va di casa in cerca di fortuna. Dopo aver girato l’America in lungo e in largo trova l’occasione della vita grazie a una danzatrice, che gli procura un ruolo importante in uno spettacolo di Broadway; ma, proprio la sera del debutto, vengono a chiedergli di prendere il posto del padre, gravemente malato e impossibilitato a cantare per la festa di Yom Kippur. Si porta dietro l’ingombrante etichetta di “primo film sonoro nella storia del cinema”, ma la merita solo in piccola parte: è in sostanza un film muto (quando l’ho visto in sala c’era anche l’accompagnamento musicale dal vivo), con tanto di didascalie ma con la decisiva aggiunta di alcune canzoni e di poche battute di dialogo con il sonoro sincronizzato. Fatte queste precisazioni, bisogna dire che è un buon film muto e che, tralasciando certi aspetti (il mammismo del protagonista è intollerabile, e le sue relazioni con la danzatrice appaiono inverosimilmente caste), non è neanche troppo datato: parte dall’elementare conflitto con un’autorità paterna che incarna la tradizione (in fondo, cos’altro racconta Footlose?), sembra svilupparsi linearmente come una tipica realizzazione del sogno americano, poi però acquista problematicità grazie all’innesto di un conflitto interiore che viene risolto in modo non del tutto conciliante. Insomma, una parabola sui rapporti con le proprie radici e sulla necessità di distaccarsene per affermare sé stessi.
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