Regia di John Landis vedi scheda film
«Sono 126 miglia per Chicago. Abbiamo il serbatoio pieno, mezzo pacchetto di sigarette, è buio, e portiamo tutt’e due gli occhiali da sole». Ci sarebbe la foto di Elwood e Jake Blues sul dizionario, di fianco alla voce “cult”, Ray-Ban scuri e cappello d’ordinanza, inscalfiti dal tempo. Incapace di invecchiare, l’opera perfettamente folle di Landis è ancora in missione per conto del dio della Settima Arte: a 32 anni di distanza John Belushi “vede la luce” nel buio della sala e il culto si perpetua in alta definizione. Insieme alla certezza che non esiste(rà) un altro film come questo: perché?ha la colonna sonora più bella della Storia del Cinema (non solo i numeri “live”: la precisione con cui la musica aderisce alle sequenze d’azione è millimetrica), perché la grazia che il reverendo James Brown invoca sui fedeli sembra essere scesa a pioggia su tutti i nomi che sfilano nei titoli di coda, perché un’alchimia come quella tra Aykroyd e Belushi non si può ripetere (ben lo sa Dan, che 18 anni dopo ci riprovò con John Goodman). Ma soprattutto per l’anarchia totale, ferocemente gioiosa, che lo abita: al diavolo i nazisti, gli sbirri, le donne (un tris meraviglioso di sedotte e abbandonate: Aretha, Twiggy e Carrie Fisher). Nello sfascio impunito e glorioso di 103 automobili risuona lo sberleffo al cinema blockbuster che nel decennio a seguire avrebbe definitivamente fagocitato gli schermi: Spielberg, impiegato del fisco, incasserà pure l’assegno, ma non partecipa alla festa.
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