Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
“Hook” non è un film riuscitissimo. Molte cose non sono inserite al posto giusto, altre erano superflue e talvolta risulta prolisso e melenso. Ma non si può negare il forte coinvolgimento di Spielberg: è forse lui Peter Banning, mediocre e insensibile uomo di successo che ha dimenticato la propria infanzia? O s’immedesima nell’anziano orfano un po’ tonto Tootols, che ha perso i suoi pensieri felici, ma non la memoria e i ricordi dell’infanzia sull’isola? O nel Capitan Uncino, tanto cattivo quanto umanamente comprensibile, che cerca vendetta nei confronti di Peter Pan e, come lui, in fondo non vuole crescere? Probabilmente in nessuno dei tre, ma è un bambino cresciuto che rispolvera i ricordi della sua infanzia, mai perduta né dimenticata, ma accantonata in un angolo remoto della memoria. Lo Spielberg di “Hook” è in bilico tra quello di “Indiana Jones” e quello di “Always”, come si noterà più in seguito in “A.I.”, forse l’opposto di “Hook”: se nel primo l’adulto cerca l’infanzia, nel secondo è l’adolescente che cerca di diventare adulto. Ma “Hook” è infarcito dall’avventura di “Indiana Jones”, dallo zucchero di “Always”, dall’anima de “L’impero del sole”: cioè il film più ibrido di Spielberg. Fastoso, costoso e probabilmente esagerato, ma con l’anima di un bambino incantato ed estasiato. Un cast composto da cinque star capaci di recitare è notevole (e con cammei di Gwyneth Paltrow, Glen Close, Phil Collins). Più che Robin Williams, talora frenato e talora esaltato, ingabbiato in un ruolo difficile e sulla carta inverosimile, rimangono Dustin Hoffman e Maggie Smith, che fanno del gigionismo il loro asso nella manica. Da notare anche l’interprete del vecchio Tootols, orfano sempre alla ricerca delle rotelle, che poi sono delle biglie, i suoi unici pensieri felici che gli permettono di volare. E ci riesce nella scena finale, quando orgoglioso e felice se ne vola verso la seconda stella a destra, alla ricerca di nuove avventure sull'Isola Che Non C'è, tra i suoi ex coetanei. Che bello il finale disneynano, dove tutti i personaggi positivi si ritrovano alla finestra, con un lieve vento che scuote i capelli. Da notare alcune curiosità: nell’aereo si ascolta la voce del pilota, che è la stessa di Uncino (il grande Ferruccio Amedola); nel finale il giardiniere è interpretato dal bravissimo Bob Hoskins, che è anche Spugna. Sono zampate poetiche che solo uno spettatore attento può individuare. O un bambino dallo sguardo immaginifico e fantasioso. O un adulto, alla ricerca della sua infanzia perduta.
Quarantenne avvocato di successo, Peter Banning trascura la famiglia, composta dalla moglie Moira e dai due figlioletti Jack e Maggie. Dopo un litigio con il figlio, partono per le vacanze di Natale alla volta di Londra, dove soggiornerà a casa della nonna della moglie, Wendy, vecchia benefattrice. Approfittando di un’uscita serale dei tre, il malvagio capitano Hook (Uncino) gli rapisce i figli. Wendy è così costretta a fargli scoprire di essere stato un orfanello chiamato Peter Pan. La fatina Trilly, innamorata di lui, lo riporta sull'Isola Che Non C'è dove, con l'aiuto dei Bambini Sperduti, affronta il cattivo.
Molto affascinante.
Parte dello script. Voto: 7.
Non male, molto gigione.
Un personaggio un po' improbabile ma molto affascinante.
Lui è sempre lui, ma è troppo incostante: talvolta frenato, talvolta esaltato.
Una recitazione asciutta e piena di sfaccettature, che da al suo Capitano Giacomo Uncino un’aria depressa, tragica e schiacciata dalla vendetta.
Una regia che sembra fastosa ed eccessiva, ma è invece intima e affettuosa.
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