Regia di Emilio P. Miraglia vedi scheda film
Thriller esagerato e kitch che sa farsi ricordare prer le atmosfere torbide e ridondanti, la musica tutta urla, risate sadiche e violini eccitati, ed una storia scombiccherata che si arricchisce di svolte e particolari improbabili ed inattesi, utili a dispiegarne lo svolgimento sino ad un finale scorretto ma godibile.
Famosissimo thriller "da esportazione" di inizio anni ’70, quando la nostra industria cinematografica guardava orgogliosa e concreta verso il mercato internazionale, producendo, anzi sfornando con un gettito da fornace, prodotti di genere forse un po’ tutti schematicamente uguali, ma spesso non privi, come in questo caso, di un certo loro fascino in grado di far conquistar loro, al film, all'autore e agli attori coinvolti, una notorietà ed un mercato decisamente più ampi di quello a cui sono invece destinate buona parte delle produzioni attuali, spesso invendibili e fuori dalla portata di ambizioni che mirino oltreconfine.
Emilio Pompilio Miraglia, distintosi con questo ed un precedente “lady killers movie” altrettanto noto (La notte che Evelyn uscì dalla tomba...Evelyn è un nome che intriga molto il regista, dato che è pure la chiave del mistero della vicenda di questo thrille oscuro e piacevolmente kitch) e da un’altra manciata di film, tutti polizieschi o western, non inventa nulla di nuovo, gioca con l’intreccio improbabile e risaputo, sulle scenografie lugubri e le ambientazioni ad effetto, su musiche altisonanti tutte urla e corde di violino, sui primi piani di attrici affascianti e bambine pestifere che si odiano già dalla tenera età, e scodella un thriller orrorifico esagerato, complesso, artificioso, lambiccato, pieno di dettagli e controfinali che capovolgono ogni più plausibile conclusione a tradimento e senza alcun rispetto degli indizi forniti in precedenza.
L’antagonismo che divide già da bambine due eredi di una facoltosa dinastia tedesca, si spiega con una antica leggenda e maledizione che vede indiziate due tetre figure femminili loro antenate: la dama nera e quella rossa: la prima uccide la seconda per rivalità in amore e quest’ultima la tradizione macabra popolare vuole che si ripresenti ogni cento anni uccidendo 6 persone innocenti più l’ultima erede della dinastia.
E quando quest’ultima, affascinante fotografa con la coscienza in subbuglio per aver accidentalmente provocato la morte della sorella nei pressi del lago della villa, comincia a ricevere minacce e a veder uccide molte persone del proprio entourage, ecco che i presupposti e le avvisaglie affinchè la profezia nefasta si metta in moto ci sono tutte.
Nella vicenda entreranno a far parte molti altri personaggi di contorno più o meno fondamentali: un amante che aspira alla dirigenza della ditta di moda di proprietà della famiglia, una serie di modelle ed impiegate di bell’aspetto, un poliziotto incaricato delle complicate indagini, una cugina che sa molto più di quanto non si possa presagire; un nonno custode di un segreto impossibile da svelare e di una eredità che fa gola a molti.
Eccentrico e spesso senza controllo, “la dama rossa” rimane, a suo modo, un film affascinante, forte di un cast di attori spesso teatrali di spiccata personalità (Ugo Pagliai e Marina Malfatti), con una protagonista all’apice della notorietà ed avvenenza, con ruoli di contorno affidati a bellezze ineguagliate come l’austriaca Sybil Danning, regina del B-movie presso svariati registi cult o scult.
Miraglia non riesce a contenersi nel aggiungere dettagli e svolte narrative ad una vicenda che parte con una sua fantasiosa coerenza e deborda in una serie di colpi di scena di fatto posticci e appiccicati ad uopo per poter dare un finale alla vicenda.
Ma è proprio questa incontenibile frenesia narrativa fuori controllo uno degli aspetti vitali e positivi del film, che rende Miraglia un artigiano interessante e in linea col fare cinema di quel periodo, come lo fu Giulio Questi assieme a tanti altri, veri e propri protagonisti di una stagione casereccia ma d’oro per il cinema italiano con ambizioni internazionali.
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