Regia di Emilio P. Miraglia vedi scheda film
Nella villa di una ricca famiglia si aggira uno spettro che si risveglia, puntualmente, ogni cento anni. A ogni comparsa, la 'Dama rossa' - così è chiamata la sanguinaria presenza soprannaturale - miete sette vittime e scompare. Naturalmente, allo scoccare del secolo dall'ultima carneficina, si verifica un assassinio. Poi un altro, e un altro ancora.
Come regista, Emilio P. Miraglia è stato una meteora nel firmamento del cinema nostrano: sei regie in cinque anni (1967-72) e niente più. In realtà Miraglia veniva da un lungo apprendistato come assistente (anche di Salce e Lizzani) e quindi la sua scelta di passare dietro la macchina da presa per girare 'in prima persona' non è nulla di tanto strano, anzi: considerando il superlavoro di quegli anni per il cinema italiano, perfino sorprende che il suo debutto sia arrivato così tardi. La dama rossa uccide sette volte è un thriller spettrale con ascendenze radicatissime nel substrato del 'genere' contemporaneo, che vedeva l'esplosione del filone giallo-macabro a seguito dei primi successi di Dario Argento; opera quindi inquadratissima e a tutti gli effetti poco sorprendente, si tratta peraltro di una variazione sul tema del precedente film di Miraglia, La notte che Evelyn uscì dalla tomba (1971), altro canovaccio a base di omicidi e capelli rossi. Sceneggiatura del regista con Fabio Pittorru (soggetto); fra i protagonisti: Barbara Bouchet, Ugo Pagliai, Marina Malfatti, Sybil Danning e Marino Masè. La mano non troppo salda in regia purtroppo si fa sentire e il carico di tensione della trama svapora qua e là. Miraglia chiuderà la sua carriera subito dopo, uscendo in sala con lo spaghetti western Spara Joe... E così sia. 2,5/10.
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