Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Anna è una ragazza benestante che trascorre qualche ora in compagnia dei suoi amici a bordo di uno yacht nelle isole Eolie. La sua insofferenza interiore si palesa lentamente, ma nessuno se ne accorge. Tanto che la ragazza scompare improvvisamente, lasciando i compagni di ventura sbigottiti. Almeno all’inizio.
Ne “L’avventura”, primo film della trilogia sull’incomunicabilità, Michelangelo Antonioni mostra la sua idea di cinema, fatta di interiorità (sballata), di umanità (inesistente) e di formalismi (esasperati). Una scuola che formalmente e sostanzialmente farà proseliti e influenzerà decine di cineasti a seguire, soprattutto internazionali. Qui Antonioni affronta temi di grande attualità, ma soprattutto molto futuribili: si gioca col tema del doppio (che ossessionerà registi come De Palma e Lynch), ci sono tanti silenzi rumorosi, in cui pare non accada nulla, ma in fondo non è così. E soprattutto esiste una capacità di visione inficiata da un ritmo alla Antonioni, necessario per lasciare spazio alla ponderazione, concedendo allo spettatore di riflettere sui gesti dei numerosi attori in scena.
Ma soprattutto esiste un crescendo narrativo durante il quale l’equilibrio della storia cambia costantemente: il tema di fondo (la ricerca di Anna) lascia lentamente spazio a numerose altre situazioni, collaterali, marginali, che diventano importanti (soprattutto per chi prova un minimo di empatia per i personaggi), relegando la scomparsa di Anna, alla fine, ad un mero corollario. Anche il finale quasi troncato, senza indicazioni per lo spettatore (se non congetture non confermabili), dimostra l’evidenza per cui Antonioni prova ad essere asettico, disegnando caratterizzazioni mostruose e mutanti, in cui la pochezza della borghesia è attaccata con ferocia, una ferocia intensa ed arguta, inversamente proporzionale alla delicatezza ed alla precisione della forma. Tra i film più celebrati della storia del nostro cinema.
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