Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Probabilnente il migliore film di Antonioni: precarietà sentimentale, solitudine, ricerca di significato, bellissime immagini, personaggi profondi, poesia.
Sicuramente la fama di questo film è meritata, ed è forse il migliore della nota trilogia di Antonioni (ed è superiore soprattutto a “Deserto rosso”).
Tutte le componenti funzionano: la regia, le inquadrature (anche del paesaggio), le scenografie, la sceneggiatura, i simbolismi discreti, la buona sceneggiatura di Tonino Guerra, il ritratto psicologico e sentimentale dei protagonisti e di vari personaggi di contorno. Questi ultimi sono descritti con pochi ma efficaci tratti, come il lupo di mare solitario, rientrato dall'Australia, che con la sua casupola sull'isola deserta, la coppia del farmacista con la moglie viterbese, la scrittrice snob, il padre della scomparsa...
In particolare, sia Antonioni che Guerra possiedono quel felice equilibrio degli artisti, che poi a volte perdono con il procedere della loro carriera. Mi riferisco al connubio tra arte cinematografica, poesia, riflessioni esistenziali, critica ai mali del presente, il tutto con misura, profondità e senza supponenza, e senza astruserie.
Come sempre in Antonioni, a farla da padrona è la freddezza sentimentale e la precarietà affettiva del singolo e della coppia, mentre una grigia modernità, con il suo utilitarismo e i suoi valori economici, sembra avvolgere gli individui, che sostanzialmente sono soli ed infelici. Da una parte vediamo il personaggio di Ferzetti, tipico professionista di successo, volubile nei sentimenti e interessato più che altro a fugaci avventure con donne prese al volo. Il suo rapporto con la fidanzata è dominato dalla noia, con un po' di sesso per tirare avanti. E' significativo che sia incline all'avventura con un'altra donna anche nel caso di una relazione appena iniziata per la sua di lui insistenza. Praticamente è una banderuola al vento dell'impulso. È un uomo incapace e disinteressato ad amare, e profondamente egoista. Dall'altro lato c'è il personaggio della Vitti, che cade vittima del suo fascino, nonostante si renda conto che è una persona inaffidabile. Ma il suo cuore è troppo debole, ed è assetato di amore, incapace di dominarsi; quindi va a bere da una fonte anche se presentisce essere avvelenata. Il perdono finale non comunica nulla di positivo, ma anzi un'immagine di dipendenza affettiva, senza dignità propria.
In tutta la prima parte, il fidanzamento tra i due personaggi rappresenta plasticamente il logorio, l'insofferenza reciproca, la noia e l'incomunicabilità della coppia che spesso vediamo nei film di Antonioni.
Quanto all'ambientazione, efficaci risultano molti dei luoghi dei film: l'isola spoglia e deserta, il paese abbandonato e altri scorci. Essi sono degli opportuni corrispondenti della mancanza di amore e della solitudine dei protagonisti.
Sulla scomparsa della donna abbiamo solo qualche accenno interpretabile, ma la cosa rimane circondata da un'aria di mistero che aggiunge fascino al film.
La Vitti è brava e bella, non c'è molto altro da dire.
Notevole la fotografia, specie del mare e dell'isola nella prima parte. Mi sono piaciute anche le musiche.
In generale è un film notevole, ignorato però da anni dai palinsesti televisivi, nonostante la sua notorietà e quella degli interpreti, e credo della sua durata. Neppure la recente scomparsa di Monica Vitti è bastata a rompere il ghiaccio.
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