Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film
Il VI movimento di una sinfonia di morte e redenzione, l'epilogo, forse il più bello insieme al primo episodio in Sicilia, sceglie il delta del Po, luogo di storie inedite della grande Storia, zona di Porto Tolle e Scano Boa.
PAISA' - PARTE VI
Paisà ebbe una fase di post-produzione febbrile, il film arrivò a Venezia in fretta e furia, racconta Adriano Aprà ne “Le due versioni di Paisà”, 12 maggio 2015:
“… arrivo della copia all’ultimo momento, in tempo per una proiezione mattutina riservata alla stampa al teatro Malibran e poi per quella pubblica al cinema San Marco, nel pomeriggio alle 16
… Non è la prima volta (era già successo con La nave bianca), e non sarà l’ultima, che Rossellini presenta un suo film a un festival in chiusura, come “film sorpresa”… Ciò spiega anche come gran parte dei film di Rossellini (salvo quelli televisivi) comporti “varianti” (o “pentimenti” che dir si voglia) tra la versione presentata a un festival e quella uscita nelle sale italiane o estere, come è il caso di Paisà.
Le riprese del film, iniziate a metà gennaio del 1946, si erano protratte sino alla fine di giugno (con ulteriori riprese integrative ad agosto). Durante la postproduzione Rossellini era stato colpito da un tremendo lutto: la morte improvvisa, per un’appendicite ipertossica, del figlio Romano di 9 anni, il 14 agosto a Barcellona, dove era in vacanza con la madre… Roberto andò in Spagna. Quando tornò era sconvolto. Lo accompagnai a Venezia anche per stargli vicino. Il film venne proiettato per i critici non al San Marco, dove allora si facevano le proiezioni per il pubblico, ma in un teatro lì vicino. Roberto era molto nervoso. Alla fine della proiezione era chiaro che i critici cercavano di evitarlo. Il film non era piaciuto. Volle tornare subito in albergo. Si mise a piangere. Non l’avevo mai visto piangere. Ma c’era anche la morte del figlio di mezzo.”
Film in sei episodi, capolavoro oggi riconosciuto del cinema mondiale, Rossellini risale la penisola dalla Sicilia al Po in una sorta di ascensio catartica e liberatoria, un libera nos a malo che ha bisogno di immergersi fino in fondo nel male per potersene liberare.
Il VI movimento di questa sinfonia di morte e redenzione, un epilogo, forse il più bello insieme al primo episodio in Sicilia, sceglie il delta del Po, luogo di storie inedite della grande Storia, zona di Porto Tolle e Scano Boa.
Rossellini era incantato da quei posti, racconta Antonio Cibotto che lo seguì a lungo nelle sue esplorazioni successive a Paisà, alla ricerca di sfondi adatti al film mai realizzato con Zavattini, Italia mia.
La gente di quelle terre, la sua umanità scontrosa, la miseria antica e il lavoro duro che le piene distruggono e i padroni sfruttano, tutto questo non poteva lasciare indifferente chi alla settima arte chiedeva in quegli anni un posizionamento critico, un intervento attivo sul reale.
I pescatori di Porto Tolle e la guerra che si abbatte sulla loro vita per un gesto di umanità, la sepoltura di un morto, di fratellanza, del cibo a soldati inglesi e americani dispersi nella zona, di resistenza alla barbarie nazista, questo è il canto funebre che chiude Paisà, un titolo immenso, in un napoletano che intende amico, fratello, uomo come me in un paese che è il nostro.
Paracadutisti inglesi e americani, un partigiano morto che scorre sul fiume dentro un salvagente col cartello “PARTIGIANO” in braccio, nazisti in arrivo con barche a motore. Tutti insieme sul fiume e nella palude, fra le canne che nascondono e sotto un cielo basso.
Dal coro di questa tragedia in cinque atti e un epilogo raccolto in silenzio a guardare dall’argine, si staccano due pescatori con le loro barchette sottili, sembrano fette spolpate di anguria che scivolano leggere a pelo d’acqua.
“ Lo vado a ciapàr ” fa il pescatore /partigiano.
“Va che ti copro, faccio brillare le mine là”
Il cadavere è imbarcato, il cartello sostituirà la croce sulla terra del sepolcro, c’è tempo per onorare i morti anche dove di tempo non ce n’è più e dal fiume arriva ancora la morte.
Soldati giovanissimi imbevuti di mistica nazista, feroci robot che predicano ai prigionieri il loro credo delirante sul nuovo mondo da far nascere distruggendo il passato, catturano senza sforzo quel gruppo male armato, lasciato allo sbando dal comando, e i pastori autopromossi partigiani sul campo.
Partigiani.
Di quale parte? Bisognava essere di una parte, ed era quella di chi seppellisce i morti, dà una fetta della poca polenta che ha a chi ha fame, ha paura perché sa che sta per morire.
“ Me ga pisà addoss com’un putìn”, è la voce di Cingolani, il pescatore.
Tra poco con gli altri sarà buttato a mani legate in acqua, uno già pende impiccato davanti alla porta della capanna.
Epilogo breve, fulmineo. Un soldato corre urlando e una raffica lo abbatte, sulla sponda della barca, di schiena, ripresi da lontano nel barlume dell’alba, pochi uomini aspettano di essere spinti giù come birilli.
Uno sguardo rapido all’acqua che inghiotte i corpi, la voce esterna che chiude dicendo: “ Era l’inverno del ’44, dopo pochi mesi la guerra era finita”.
Una nazione dovrà risorgere da tutto questo.
A Rossellini non servono mai troppe parole, le riprese hanno taglio documentaristico essenziale, che si tratti di azioni di guerriglia o di scene in cui la pietà è nello sguardo che passa veloce sul partigiano massacrato.
Il suo stile visivo crea quella che James Agee chiama “le illusioni del tempo presente", il livello di astrazione delle immagini ricompone la realtà a livello percettivo prima che cognitivo, si avverte la vibrazione prima che intervenga il controllo della mente e la disposizione rettilinea delle scene crea i collegamenti logici mancanti.
Psicologia della Gestalt, percepire la struttura della realtà prima che arrivi l’analisi, il registro critico si scateni in esegesi, le cose finiscano per dire più di quanto vorrebbero (o meno).
Nannarella che corre con le braccia tese avanti in Roma città aperta è un’icona immortale come la Bergman che crolla a terra alla ricerca di Dio tra i fumi del vulcano in Stromboli o Edmund che prima di lanciarsi nel vuoto in Germania anno zero si copre gli occhi con la mano.
Di Paisà resterà a memoria perenne il grande fiume gonfio d’acqua che scorre calmo e quel puntino bianco con un cartello sghembo : PARTIGIANO.
Ma la parola al regista a questo punto è d’obbligo:
“ Gli ingredienti sono sempre quelli: il mondo e gli uomini e il bisogno di costruire il mondo, con le sue coordinate storiche, sociali, di ambiente, in modo contestuale agli uomini che vi partecipano, che gli sono presenti. Lo so, il mondo e gli uomini ci sono anche nelle favole, nelle invenzioni, ma c’è un mondo che appartiene alla fantasia, quello appunto dei film di fantasia, e c’è un mondo che appartiene alla realtà, quello del documento, del neorealismo; e mi riferisco in questo caso proprio alla realtà più piatta, più polverosa, più umile; soprattutto più umile. Perché per me la ricerca dell’umiltà è la cosa più importante; specie se ci si vuole dare un’etica, se si vuol raggiungere una certa morale. La fantasia non la tratterò mai più. Non perché la disprezzi, ma perché credo che il solo impegno cui metta conto dedicarsi oggi sia la documentazione della realtà. E questo per il solito principio, perché siamo spaventosamente ignoranti e perché, se davvero vogliamo viver da uomini, questa ignoranza ogni giorno di più dobbiamo cercare di demolirla; con tutto ciò che facciamo”.
www.paoladigiuseppe.it
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