Regia di Woody Allen vedi scheda film
La storia di tutte le storie d'amore: speranze e delusioni, incomprensioni, piccole tragedie quotidiane, distacchi e ritorni, ansie, sofferenze e infine tutta quella serie di momenti felici che fanno sostanzialmente la differenza nella nostra vita. L'amore è nevrosi, non appartiene tanto alla categoria dei sentimenti quanto a quella delle patologie. Ma è una patologia meravigliosa. Con un prologo (meta)teatrale ed un finale da pelle d'oca, Allen dimostra di saperci fare innanzitutto con le parole; la dinamica del racconto che si snoda nell'ora e mezzo di pellicola è invece la consacrazione del comico anche come regista: coinvolgente, narrato in prima persona, dotato di buon ritmo e gag 'malincomiche' (Allen fa tesoro dell'arte dell'understatement) in sequenza sapientemente non troppo serrata, Io e Annie apre la via verso l'Oscar al comico newyorchese. Che peraltro non andò a ricevere le 4 statuette, precludendosi in pratica la possibilità di vincerne altre (in tutta la carriera ne ha ricevuta - fino al 2009 almeno - soltanto un'altra, nel 1987: sceneggiatura originale di Hannah e le sue sorelle). Interessante lo spunto finale, prima della splendida chiosa (con la leggendaria barzelletta sulle uova): per elaborare ed esorcizzare il lutto - la fine della storia con Annie - Alvy la mette in scena come soggetto del suo primo film, ma cambiandone il finale per renderlo lieto. Il cinema come realtà accomodante, la fantasia come rifugio dalle crudeltà della vita: Allen ha imparato fin troppo bene la lezione di Bergman - e lo omaggia anche, nella scena in cui va al cinema con la Keaton a vedere L'immagine allo specchio (ma non entra perchè il film è cominciato da 'ben due minuti'). Idem per McLuhan, che addirittura si presta per una surreale comparsata: è un periodo felice per Woody e questo film ne è una palese dimostrazione, soprattutto se si considera che, al di là della finzione e della metafinzione (Alvy che mette in scena sè stesso nel suo primo film), Allen e la Keaton sono stati realmente insieme in quegli anni e il vero cognome della Keaton è Hall (e Annie è diminutivo di Diane); infine, il personaggio stesso di Annie fu costruito dalla Keaton in maniera piuttosto personale, ispirandosi nel modo di vestire e negli atteggiamenti alla sua vita reale. Che dire? Uno dei capolavori immortali della storia del cinema.
Alvy e Annie a New York: lui è un comico di discreto successo sulla quarantina, lei è poco più giovane e cerca di sfondare come cantante. La loro storia d'amore vive alti e bassi, con la mediazione della psicanalisi e basandosi su un'amicizia di fondo che non può esaurirsi mai. Nemmeno quando lei partirà per Los Angeles e lui cercherà invano di fermarla.
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