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Black Rain - Pioggia sporca

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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La recensione su Black Rain - Pioggia sporca

di EightAndHalf
8 stelle

Ridley Scott rientra sicuramente fra le più recenti leggende cinematografiche, per la sua grandiosa versatilità, per il suo stile apparentemente piano ma sempre funzionale alle sue storie e talvolta inimitabile, per la sua straordinaria capacità di giocare con gli stereotipi più ritriti rielaborandoli (senza negarli, tuttavia) e riuscendo a circondarli di personaggi e di storie che sicuramente restano nella mente degli spettatori a lungo. Dall'on the road di Thelma & Louise al film sulla malavita nel recentissimo The Counselor, dallo schermo provengono piccoli lampi di genio, piccole screziature nell'andamento traballante del cinema americano, gioielli che alternano cinismo, ambiguità e profondità sotto plurimi veli di puro intelligente intrattenimento. Black Rain è l'incontro violento e leggermente edificante degli stereotipi americani (dallo yuppieismo amicone di Andy Garcia al machismo mascalzone di Michael Douglas) con quelli giapponesi (i caotici e artificiali paesaggi urbani di Tokyo, la globalizzazione scontratasi con la spiritualità orientale), raccontato tramite una storia di mafia giapponese. Gli esiti formali non vantano grande originalità, e molte delle ottime scene di azione possono concepirsi soltanto in presenza di un corretto commento musicale non invadente seppur necessario, ma i personaggi godono di piccoli dettagli che, anche nel carattere più risaputo, destano spesso interesse, a partire dal protagonista, divorziato con figli piccoli, che capiamo solo dopo dieci minuti essere poliziotto perché prima impegnato o in illegali corse motociclistiche o in un processo che lo vede responsabile del furto di una piccola parte di una refurtiva. Lo stesso Andy Garcia, giovanissimo aitante poliziotto (sempre vestito abbastanza bene da sembrare agente più da ufficio che da strada), cela fin troppa ingenuità sotto i capelli impomatati e le cravatte elaganti. L'intero sistema giudiziario sembra essere inficiato dall'interno da personalità simili, certo non antagonisti e, arrotondando, assimilabili come "buoni", ma sicuramente ambigui, imperfetti, umani. Le atmosfere della città di Tokyo poi, fumose e indistinte, si rivelano perfette per la resa delle scenografie degli inseguimenti, e per raccontare un corrotto aere di corruzione e di segreti nascosti, come quello per cui tutti sanno della battaglia fra due boss della Yakuza ma nessuno (nemmeno i poliziotti) vuole rivelarlo. Lo stesso poliziotto interpretato da Ken Takakura si rivela solo lentamente, da un'iniziale insignificanza (anche se il suo ingresso in scena è molto divertente) a una successiva sempre maggiore importanza (anche se anche lui cela molto sotto lo sguardo, e non certo ingenuità). L'antinipponismo americano e l'antiamericanismo nipponico cercano nell'amicizia e nella vicinanza virile un punto di rottura, fin quando la collaborazione fra i protagonisti non diventa ferma e sicura e finalmente la polizia giapponese può consegnare fiducia (ma solo alla fine) al protagonista, magari figura ambigua e non condivisibile ma sicuramente abile poliziotto poco interessato alle distrazioni e alla seduzione (anche se la fugace storia d'amore ci scappa). Poteva diventare un classico, se fosse stato fatto un po' prima: fatto nell'89, ancora risuona di quel semplice fascino magnetico e accattivante delle pellicole che sanno imporsi nonostante le loro (svariate) banalità. Sicuramente non il miglior Ridley Scott, ma non sfigura di fronte agli altri.

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