Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Poliziesco coi fiocchi, mi trova allineato con quanti propendono sia più da elogiare che biasimare. Situato in quel delicato periodo del cineasta britannico di poco successivo a Blade Runner, gode di alcuni pregi provenienti dai capolavori degli esordi, e soffre di taluni dei sintomi regressivi preannuncianti la lunga, e speriamo ancora reversibile, involuzione artistica (si dovrà attendere Black Hawk Down per rivedere, almeno tecnicamente, una regia insuperabile di Ridley Scott). Fra le virtù si notano ottime scenografie ed atmosfere dark d’ispirazione runneriana, una tensione discretamente costante caratterizzata da sprazzi di feroce violenza, ed un protagonista sufficientemente torbido (bravo Michael Douglas). Metodi d’inquadratura e senso del ritmo sono le stesse d’un tempo. Carenti risultano invece le caratterizzazione di qualche figura di contorno (Garcia è atono, la Capshaw completamente fuori contesto), la conclusione “felici e redenti” (qui sì, serviva un final cut!) e soprattutto il soggetto, un plot poliziesco prevedibile in cui il confronto-scontro “social-culturale” tra statunitensi e giapponesi raggiunge imbarazzanti punte di banalità. Sorto con Chi protegge il testimone, il problema della scelta di script mediocri contrassegnerà di lì in poi quasi tutta la filmografia di Scott, un fenomenale “metteur en scène” fondamentalmente privo di quelle istintive doti autoriali in grado di creare, da contenuti intellettualmente poveri, significati capaci di risollevare l’intera ispirazione del film (penso ai vari Hawks, Siegel, Fuller). Fortunatamente (per lui e noi) le prime opere si basavano su testi di grande sostanza e sceneggiature di primordine. Black rain, nella carriera del regista, è la fulgida testimonianza di una terra di mezzo cinematografica, fra indelebili onori del passato e l’imperscrutabile oblio del divenire.
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