Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Ideale chiusura di una “trilogia della strada” iniziata con Alice nelle città (1974) e proseguita con Falso movimento (1975), Nel corso del tempo è, al pari dei due precedenti capitoli, un intenso ed emozionante road-movie dell’anima, e al contempo un’esperienza visiva unica (fotografia di Robbie Müller e Martin Schäfer): non c’è niente di difficile o astruso in questo bellissimo film, solo l’incontro tra due esseri umani e le rispettive solitudini, il vuoto del paesaggio che scorre in sottofondo, la straordinaria colonna sonora rock (a cura degli Improved Sound Limited), i vari incontri che i due protagonisti fanno lungo il loro cammino. Nel corso del tempo, il film. Si avverte qui, probabilmente molto più che in qualunque altro film di Wim Wenders, l’influenza di Antonioni e in particolare di un film come Il grido (1957), a partire ovviamente dal tema del viaggio — o meglio, vagabondaggio, dal momento che un viaggio presuppone una meta — che diventa viaggio interiore: un tema che il regista ferrarese, da par suo, aveva portato al sublime appena due anni prima con il suo capolavoro Professione: reporter. Ma Antonioni si sente anche e soprattutto nell’utilizzo introspettivo del paesaggio, nella scansione felicemente anticonvenzionale del ritmo, nella prevalenza dell’immagine sulla parola, con i dialoghi meravigliosamente ridotti all’osso: Wenders non ha (ancora) bisogno di filosofeggiare per giungere in profondità ed emozionare, e dimostra una straordinaria sensibilità che è difficile ritrovare nelle cerebrali pellicole degli anni Ottanta, quali Lo stato delle cose (1982) o il sopravvalutato Il cielo sopra Berlino (1987). Bruno gira in lungo e in largo la provincia tedesca a bordo di un camion: il suo lavoro è quello di tecnico riparatore di proiettori cinematografici. Robert invece si occupa dei disturbi nel linguaggio dei bambini, ha un amore genovese finito male e una voglia matta di lanciarsi con la sua Volkswagen in un fiume. È così che si conoscono (Bruno assiste al tentativo di suicidio di Robert) e decidono di fare almeno un pezzo di strada insieme. Nel corso del tempo parte dagli effetti e si prende i suoi bei tempi per indagare le cause. Robert all’inizio del film tenta il suicidio, ma ancora non sappiamo il perché: scopriremo in seguito che si è separato dalla moglie e che ha avuto un rapporto molto contrastato con il padre. Lungo il loro cammino, Bruno e Robert incontrano un uomo la cui moglie si è appena suicidata andando a sbattere con la macchina contro un albero (sequenza da antologia ed uso a dir poco geniale della musica). Non è un caso se entrambi i suicidi (di cui ovviamente il primo non va a “buon” fine) siano caratterizzati dalla velocità: Robert si getta a tutta velocità nel fiume e la donna va a schiantarsi contro l’albero. Prendendo la vita troppo di corsa, si rischia di annegare o di schiantarsi. Grazie a Bruno, Robert impara — e noi con lui — a prendersi tutta la calma di cui ha bisogno e a fare a meno di una meta. Nel corso del tempo è poi ovviamente, oltre che un film sul viaggio, un film sull’amicizia virile ed anche un film sul cinema. Dice la proprietaria della sala nel finale: «“Il cinema è l’arte di vedere”, diceva mio padre. Perciò non posso mostrare i film che sfruttano soltanto ciò che è sfruttabile nella testa e negli occhi della gente. Non mi costringeranno a mostrare film da cui la gente esce indurita e abbrutita. Film che distruggono ogni gioia di vivere e annientano ogni sentimento del mondo e di se stessi. Mio padre voleva che questo cinema continuasse a esistere. Anch’io. Ma è meglio che non esista più alcun cinema se il cinema è come quello attuale». Un finale tristemente profetico, non c’è che dire. Non succede praticamente nulla in Nel corso del tempo, eppure succede tutto ciò che davvero conta mentre seguiamo il cammino di questi due personaggi (interpretazioni perfette di Vogler e Zischler) imprigionati nelle loro solitudini e in perenne falso movimento. Nel corso del tempo è la vita stessa messa in immagini, è un film di una semplicità disarmante e al tempo stesso un’opera davvero epocale (quasi tre ore da vedere e rivedere), è il Wenders che non possiamo non rimpiangere. È il cinema come dovrebbe sempre essere. VOTO: 4,5/5
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