Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
M'incuriosisce l'omonimo romanzo di J.G. Ballard, parzialmente autobiografico, da cui è stato tratto questo film. Non escludo di considerarlo in futuro per un'eventuale lettura, nonostante la visione della sua trasposizione non mi abbia entusiasmato quanto avrei sperato in cuor mio. Mi trovo in sintonia, infatti, con il giudizio del critico Roger Ebert, il quale scriveva: «"Empire of the Sun" adds up to a promising idea, a carefully observed production and some interesting performances. But despite the emotional potential in the story, it didn't much move me».
Fra le prime motivazioni della mancata "scintilla" da parte mia, mi sento di addurre proprio il piccolo protagonista. Possibile che sia soltanto colpa di un'indisposizione, però non sono riuscito a entrare in sintonia con lui, non ho percepito la necessaria empatia, non mi sono sentito coinvolto e appassionato nel profondo alla sua vicenda. Sempre un velo di sostanziale antipatia, irritazione, insofferenza - non saprei come definirla - ha frenato ogni tentativo, anche nei momenti in apparenza più favorevoli. Si capirà allora che ciò costituisce la morte di un'opera come questa, impostata così intensamente su di un singolo punto di vista.
Per la seconda ragione, fortemente legata alla prima, cito di nuovo le parole di Roger Ebert con cui concordo: «The movie's weakness is a lack of a strong narrative pull from beginning to end. The whole central section is basically just episodic daily prison life and the dreams of the boy. [...] Spielberg is a good storyteller with a good tale to tell. But it never really adds up to anything. What statement does Spielberg want to make about Jim, if any? That dreams are important? That survival is a virtue?». Sono domande che anche per me restano senza risposta.
Almeno mi sono consolato durante la proiezione cercando di focalizzare l'attenzione sugli aspetti positivi, quali la recitazione professionale a ogni livello da parte degli attori, la cura indiscutibile nel girare le scene secondo lo stile proprio del regista, che si continua ad apprezzare ed è un valore aggiunto. Suggestive inoltre sono la fotografia, i costumi e l'ambientazione, in linea con i drammi storici di guerra che richiedono ricostruzioni d'epoca accurate o quantomeno verosimili. Mi spiace non poter valutare questi pregi come meriterebbero, ma la parziale delusione ha un suo consistente peso che necessita di essere considerato. Tutto sommato il giudizio è quindi solo discreto.
Nel 1941 il ragazzo inglese Jim Graham - dieci anni - vive a Shangai in mezzo agli agi con l'hobby immaginifico degli aerei-giocattolo. Durante l'invasione della Cina da parte dei giapponesi, nella confusione della fuga, Jim perde i genitori. Dopo lungo vagabondare, rientra nella villa deserta e vi rimane finché, esaurite le provviste, si avventura in bicicletta per Shangai. Quasi investito da due spregiudicati americani, Basie e Frank Demarest, viene catturato con loro dai giapponesi e rinchiuso in un campo di concentramento. Qui Jim vive il difficile passaggio dall'infanzia all'adolescenza.
Non l'annovero fra i suoi capolavori meglio riusciti, pur confermandone l'indole e talento evidenti.
Jamie "Jim" Graham. Non male come esordio.
Basie. Una buona interpretazione di carattere.
Frank Demarest. Abbastanza secondario.
Sig.ra Victor. Compie il suo dovere.
Dott. Rawlins. Discreta figura di supporto.
Dainty. Breve ruolo di circostanza.
Si avverte lo stile inconfondibile di John Williams nelle musiche originali. Tuttavia, fra i vari brani, di maggior effetto sono piuttosto i due canti corali intitolati Suo Gân ed Exsultate Justi. Da brividi.
Non ho la ricetta in tasca per risolverlo, ma direi il difetto di "attrattiva" dall'inizio alla fine.
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