Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
Rivedendo questo film dopo anni ed anni (la prima volta fu, distrattamente, al liceo), la cosa che balza all’occhio sin dalle prime sequenze è l’influenza che un’opera come questa ha esercitato su tanto cinema d’autore europeo contemporaneo. Sono passate quasi due decadi dall’uscita di “Film Blu”, ma pare girato ieri. Il predominio dell’immagine sulla parola, le ellissi, le allusioni, il simbolismo; la riflessione su temi tanto alti da avere un risvolto pubblico come uno privato, coinvolgendo tanto la politica quanto la sfera sentimentale e sessuale. Una favolosa Juliette Binoche è qui alle prese con quella che probabilmente è la più riuscita elaborazione di un lutto in tutta l’arte cinematografica. Senza cadere in nessuna delle trappole che una simile tematica predispone, il compianto autore polacco parla di morte, sesso, affetto, empatia, casualità, dolore e pietà, attraverso un percorso psicologico fatto di brevi sequenze, di brusche sterzate al montaggio, di fraseggi enigmatici. Forse anche troppo. Ma d’altra parte, il cinema di Kieslowski è sempre stato un libro aperto, una sinfonia incompiuta, un’architettura imperfetta, un poema denso di suggestioni ma lasciato pieno di dubbi, interruzioni, domande senza risposta, meditazioni irrisolte. Anche i concisi episodi del Decalogo, che pure era strutturato come una revisione programmatica dei Dieci Comandamenti da un punto di vista laico, recavano con sé stonature, appannamenti, tentennamenti, per significare forse l’impossibilità di comprendere la realtà in tutti i suoi dilemmi. E’ questa la differenza fra Kieslowski e l’altro grande autore europeo che affrontò in maniera dichiarata e, appunto, programmatica i grandi temi dell’esistenza: Ingmar Bergman. Lo svedese infatti, persino in opere sperimentali come “Persona”, giungeva sempre alla quadratura del cerchio, fornendo sempre una visione nitida e coerente. Con Kieslowski invece, tanto più nei film degli anni 90 (“Tre Colori” e “La Doppia Vita Di Veronica”), si prende atto di come la vita ci si presenti alla stregua di un’enigma insondabile. E così, in “Film Blu”, la necessità (o l’anelito) di liberarsi dal proprio ingombrante passato non si presenta come un teorema da dimostrare, ma come un flusso di emozioni, stati d’animo, incontri, oggetti, sguardi…E’ la musica il filo conduttore: la musica del defunto marito, che torna episodicamente come voce della coscienza, magari accompagnata da un bagliore blu oppure mimetizzata nella melodia di un trombettiere di strada…Alla musica (e agli oggetti, come una collana) spetta la funzione di orientare i destini di persone lontane, anche nasciture...Alla mdp di Kieslowski, nel disperato finale, tocca invece la parte più difficile: unire i pensieri e le emozioni di queste persone, con un piano-sequenza “impossibile”, truccato, proprio a significare la fiducia nel mezzo filmico come residua possibilità di congiunzione delle anime (espediente peraltro già usato nel finale di “Decalogo 2”).
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