Nel suo recente La chiave di Berlino, lo scrittore Vincenzo Latronico scrive a proposito della capitale tedesca che “nessun’altra città è così piena di vuoto”. Quando Julia, studentessa spagnola di architettura residente a Barcellona, vi arriva per i primi giorni di un Erasmus lungo sei mesi, questo vuoto sembra fagocitarla: il senso di colpa per aver abbandonato il fidanzato Jordi la costringe a delle lunghe, inutili videochiamate che altro non fanno se non acuire la percezione della distanza tra lei e il ragazzo, la fatica a legare con le coinquiline trovate nel primo appartamento che la ospita ne impossibilita la convivenza, la diversità della realtà scolastica e la difficoltà della lingua tedesca rendono complesso il rapporto con gli altri studenti.
Julia passa così le giornate in camera, chiamando a casa per lamentarsi della sua situazione e mettendosi nella disposizione di rinunciare all’Erasmus. Mano a mano che il tempo passa, la ragazza inizia però a integrarsi coi suoi coetanei, trovando un gruppo di lavoro sempre più coeso e cominciando a percepire il vuoto di Berlino come una possibilità di emersione data a un aspetto finora sepolto della sua umanità, costretta sotto le consuetudini casalinghe. Qui, può cercare un tipo diverso di socialità, mettersi alla prova con un’idea diversa dei rapporti amorosi, dare sfogo a un’animalità repressa, (ri)costruire un’identità.
Berlino è stata quasi interamente riedificata dopo la caduta del Muro e si è trovata costretta a confrontarsi con una recente memoria storica drammatica: desiderosa di proiettarsi verso la modernità, allontanandosi dalle architetture di Parigi o di Roma, capitali che vivono di una memoria storica che “si riflette nelle facciate degli edifici secolari”, si è codificata come città del presente, capace di rispondere ai bisogni immediati dei cittadini che la abitano. Città cardine per la mitologia giovanile, momento di rottura e al contempo cliché, Julia sperimenta una versione inedita di sé che Berlino, riempita dei significati che la ragazza ha bisogno di attribuirle, si limita a far emergere, al contempo causando una frattura apparentemente insanabile col passato della ragazza e quindi con quella casa e quei rapporti (la madre, il fidanzato, l’università) a cui, prima o poi, sarà costretta a ritornare.
Con Julia ist la regista e attrice Elena Martin (che interpreta la stessa Julia) mette in scena una trasformazione personale che avviene attraverso la progressiva adesione alle richieste (edonistiche, economiche, sociali) della città. Si viene così a costruire un interessante parallelismo tra il profondo bisogno di rivisitazione di se stessi e la ricostruzione architettonica di una città che, seppur sempre in fuori campo, esercita il suo potere proprio in qualità di spettatrice silenziosa, lasciando che l’essenza di Giulia (da cui il titolo, traducibile con “Julia è”) si manifesti liberamente.
Júlia ist di Elena Martin è disponibile a questo link su arte.tv fino al 31 ottobre 2023
Il film
Júlia ist
Drammatico - Spagna, Germania 2017 - durata 90’
Titolo originale: Júlia ist
Regia: Elena Martín
Con Elena Martín, Oriol Puig, Jakob D'Aprile, Laura Weissmahr, Pau Balaguer, Julius Brauer
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