Non per dire che si stava meglio quando si stava peggio: sarebbe una professione di irrazionalità che non ci azzeccherebbe troppo bene con la serie inedita in Italia di questa settimana – la quale, nonostante si intitoli The Irrational, l’irrazionale, parla di un tizio impegnato in una flemmatica guerra contro la mancanza di logica. Prima della svolta d’autore che ha rivoluzionato il piccolo schermo – la famigerata entrata in scena della peak tv – non è che si stesse particolarmente meglio, anzi. La scelta era quello che era e i canali generalisti erano a loro volta quello che erano. La spinta alla qualità nella narrazione era dettata da singoli pionieri – primo fra tutti il Gene Roddenberry di Star Trek, ma ci infilerei anche i Monty Python – che percepivano il potere di persuasione e diffusione del mezzo televisivo come un’occasione per imboccare, a un pubblico che si beveva qualsiasi cosa perché non esisteva nulla di altrettanto facilmente accessibile, prodotti arricchenti, non annichilenti. Ma quel che è certo è che il panorama, all’epoca, era sicuramente più intelligibile e semplice da navigare. Un prodotto di fiction televisiva o era un film, o era uno sceneggiato, o era un procedurale. O si concludeva nel giro di una serata, o terminava entro qualche settimana, o andava avanti ad libitum finché gli ascolti lo consentivano.
Certe volte ho la sensazione che l’unico elemento a essere rimasto intatto in quel vecchio modo di fare narrazione televisiva (pre tv via cavo e pre streaming) è proprio il caro, obsoleto procedurale. Questo tipo di narrazione verticale, fatto di episodi autoconclusivi, produzioni fisiologicamente poco attente ai dettagli e sviluppo lento (quasi nullo) dei personaggi per permettere una sedimentazione abitudinaria nello spettatore – che si sintonizza per la puntata successiva alla ricerca di un cullante senso di routine – è, tuttavia, precisamente una delle ragioni precipue per cui esiste la narrazione televisiva. Come a dire: senza questo tipo di formato narrativo non esisterebbe la televisione, e viceversa. La natura stessa del mezzo, ripetitiva e onnipresente, evoca la struttura del procedurale (un po’ come succede anche per il fumetto, ad esempio). Insomma. Probabilmente non ci libereremo mai dei procedurali, fare gli snob al riguardo causerà solo grandi mal di fegato e quando spunta una serie tv del genere che fa il suo mestiere in maniera ottimale è necessario non guardare oltre alla ricerca dell’ennesima miniserie pretenziosa firmata da un “autore” che è stato rimbalzato dai nobili circuiti della cosiddetta tv di qualità.
Senza contare che, manco a farlo apposta, questa rubrica parte da uno spunto che pare ideato espressamente per esaltare il procedurale. Fra tutti i formati televisivi, quello che si basa su trame verticali è anche quello che punta la maggior parte delle proprie risorse su un episodio pilota che sia memorabile agli occhi dei dirigenti di rete – incaricati di confermare la messa in produzione dell’intera stagione – e a quelli degli spettatori che, entro la prima interruzione pubblicitaria, devono decidere se donare il proprio tempo e le proprie risorse cognitive/emotive a una nuova vecchia serie che parla di gente ammazzata e di gente viva che indaga sui perché e i per come della gente ammazzata navigando a vista in mezzo ai propri problemi di gente viva.
Nel nostro caso specifico, il pilota del poliziesco NBC The Irrational – creato dalla showrunner esordiente (ma già produttrice di Timeless ed Elementary) Arika Mittman – punta molto su una regia pulita, scevra di inutili ghirigori videoclippari che lasciano il tempo che trovano, e su una scrittura in grado di integrare con naturalezza il minimo sindacale di sviluppo orizzontale, una fascinosa ma plausibile presentazione dei personaggi e il tono che si vorrà dare alla verticalità degli episodi: scanzonato senza sfociare nel ridicolo e composto evitando di essere serioso.
Protagonista del procedurale è Alec Mercer, celeberrimo professore di psicologia comportamentale e applicata i cui servigi vengono sfruttati a più riprese dalle forze dell’ordine e dal FBI. Il suo credo è che l’essere umano, per sua stessa natura, non riesca a esimersi dal comportarsi in maniera irrazionale, anche se dichiara il (e aspira al) contrario. Ma la mancanza di logica causata dall’emotività è, paradossalmente, prevedibile tanto quanto un comportamento razionale. Sulla base di studi sperimentali, Mercer è in grado di manipolare l’irrazionalità dei soggetti che delinquono: nell’incipit del pilota, nel giro di tre minuti il professore convince un assassino che ha preso in ostaggio una neonata ad arrendersi. Gli basta usare una persuasione paradossale, dando fin troppa corda al suo piano illogico tanto da costringerlo a notarne le falle e a convincersi che l’unica soluzione razionale possibile sia quella di arrendersi.
In tutto questo, Mercer ha sul groppone un’ex moglie con cui è in buoni rapporti ma che è ex proprio per l’incapacità dell’uomo di isolare le emozioni dal pensiero logico; e ha sul volto le cicatrici di una grave ustione che gli ricordano l’attacco terroristico alla sua chiesa a cui è sopravvissuto vent’anni prima, l’unico caso da cui il suo infallibile metodo para-scientifico non è riuscito a cavare un ragno dal buco. D’altronde, memoria e immaginazione funzionano allo stesso modo nel nostro cervello: non c’è speranza di estrarre della verità da un ricordo, specialmente così datato e così legato a traumi e sensi di colpa. La volontà di scoprire chi si celava veramente dietro quell’attacco bomba è il tenue filo orizzontale che tiene unita la prima stagione di The Irrational. Al resto ci pensa un protagonista – interpretato in maniera sorniona da Jesse L. Martin (Rent a Broadway, Law & Order e The Flash in tv) – dotato di una coolness assertiva ma non arrogante e di una statura intellettuale che si staglia senza sbracare in spocchia. La premessa è interessante, la realizzazione è funzionale e il protagonista è tratteggiato con pochi colpi essenziali, ma chiari e sicuri: se c’è qualcuno con cui avrei voglia di passare un mercoledì sera rilassato, mentre aspetto che le melanzane abbiano sudato abbastanza da aver spurgato tutto l’amarognolo, è proprio il professor Mercer.
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