Dicesi “kafkiana” una situazione «paradossale, allucinante, assurda». Proprio come quelle ritratte dagli iraniani Ali Asgari e Alireza Khatami in Kafka a Teheran, al Certain regard di Cannes 76 e in sala dal 5 ottobre 2023. Nove brevi storie di comuni cittadini di fronte a una burocrazia soffocante, vicende quotidiane sempre più grottesce e surreali che svelano il volto arcigno di un regime oppressivo. Ne abbiamo parlato con Asgari.

Ali Asgari
Kafka a Teheran (2023) Ali Asgari

Kafka a Teheran sembra una sorta di raccolta di racconti ed è girato con una forma molto precisa: è un mosaico di nove quadretti, tableau a camera fissa e senza mai uno stacco di montaggio...
Sì, per il film abbiamo utilizzato una forma molto poco narrativa, ma dopo due o tre scene lo spettatore capisce il meccanismo che vi sta dietro. Come una sorta di opera, comincia con una ouverture che mostra la città di Teheran, quasi un altro personaggio, e poi si sviluppa, appunto, attraverso nove brevi episodi. All’inizio avevamo 15 situazioni differenti, ma alla fine le abbiamo ridotte. L’importante per noi era ritrarre diverse generazioni, dall’infanzia alla vecchiaia, infatti il primo episodio ruota attorno a un bambino appena nato.

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Kafka a Teheran

A essere inquadrate, una dopo l’altra e in situazioni via via più assurde, sono persone comuni che si confrontano con istituzioni o enti pubblici. I loro interlocutori, però, i burocrati, rimangono sempre fuori campo.
Fin dall’inizio abbiamo deciso di non mostrare mai cosa c’è fuori campo. Tutti questi personaggi “invisibili”, dei quali sentiamo soltanto la voce e che non vediamo mai, rappresentano una cosa sola, unica, cioè il sistema. Un sistema che è lo specchio di un regime che controlla ogni aspetto della vita nel nostro paese. Volevamo concentrarci su tutte le piccole reazioni delle persone in campo, l’obiettivo era quello di mostrare quanta pressione sono costretti a subire i cittadini, e anche per questo motivo abbiamo scelto di utilizzare il formato “opprimente” in 4:3.

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Kafka a Teheran

Il titolo italiano fa pensare a un rapporto labirintico e surreale con la burocrazia. Avete mai pensato ai romanzi e racconti di Kafka durante la lavorazione del film?
Ho apprezzato molto il titolo italiano, perché io sono un amante di Kafka. Durante la scrittura, abbiamo parlato anche dei suoi lavori, perché nel nostro film raccontiamo proprio situazioni kafkiane, nelle quali ci sono i cittadini contro una autorità. È anche per questo che non mostriamo mai le persone fuori campo: tutti loro, infatti, sono simboli di quell’autorità che non ha volto e che è presente in alcuni lavori di Kafka, dove i personaggi si ritrovano condannati ma non sanno il motivo.

scena
Kafka a Teheran (2023) scena

Il titolo internazionale, invece, Terrestrial Verses, fa riferimento a una poesia di Forough Farrokhzad...
Durante la scrittura del film ci siamo ispirati a uno stile di poesia persiano che si chiama dibattito: è simile a una conversazione tra due persone, nella quale una chiede qualcosa e l’altra risponde. La sceneggiatura si basa quindi su questa forma particolare. Inoltre, quando si parla di poesia persiana, si pensa sempre a nomi di uomini, noi invece abbiamo voluto scegliere quello di una donna, Forough Farrokhzad, alla quale ci piaceva rendere omaggio. Anche il finale del film, infatti, si ispira ad alcuni versi della poesia che dà il titolo al nostro film: «Poi/il sole divenne freddo/E l’abbondanza lasciò la terra».

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Kafka a Teheran (2023) scena

La poeta Forough Farrokhzad è stata anche regista e collaboratrice del cineasta, sceneggiatore, scrittore e traduttore iraniano Ebrahim Golestan, scomparso lo scorso agosto. L’autore ha influenzato in qualche modo il tuo lavoro e la scelta di diventare filmmaker?
Ebrahim Golestan è stato per me un grande maestro, ma più per la sua opera letteraria che per quella cinematografica. Ha girato pochi film in Iran, ma i suoi libri hanno sicuramente ispirato moltissimi registi, me compreso. Soprattutto, credo che lui abbia influenzato una nuova generazione di registi iraniani, cineasti che hanno lavorato insieme a lui come assistenti, nel suo studio. Posso quindi dire che mi ha ispirato in modo indiretto.

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Kafka a Teheran

Tu e Alireza Khatami siete alla seconda collaborazione dopo Until Tomorrow (2022): come avete lavorato a quattro mani a questo nuovo progetto?
Io e Alireza ci siamo incontrati alla Mostra di Venezia nel 2017. Parlando, ci siamo accorti di avere molte cose in comune: veniamo entrambi da famiglie molto religiose e tradizionaliste, e condividiamo tante idee e punti di vista. Da allora siamo rimasti amici e, dopo tre o quattro anni, abbiamo pensato di realizzare un film insieme, così lui ha scritto la sceneggiatura di Until Tomorrow mentre io mi sono occupato della regia. Grazie al suo intervento, ho sentito che c’era qualcosa di diverso, qualcosa in più, rispetto ai miei lavori precedenti. In seguito, lui, che abita in Canada, è tornato in Iran per girare un nuovo film, ma purtroppo non ha ottenuto il permesso dal governo. Allora abbiamo ragionato insieme su un progetto low budget e indipendente. Io avevo questa idea di un film a episodi, l’ho proposto ad Alireza e a lui è piaciuta subito, così abbiamo deciso di co-dirigere Kafka a Teheran.

Autore

Giulia Bona

Giulia Bona è nata a Voghera e ha studiato a Milano, dove si è laureata in Lettere moderne e Studi cinematografici con una tesi su Agnès Varda e il riciclaggio creativo. Riempiva quaderni di storie e pensieri, dava inchiostro alla sua penna sul giornalino della scuola, ora scrive per Film Tv. Ama leggere, i sentieri di montagna, la focaccia e sorride quando vede un cane.

Il film

locandina Kafka a Teheran

Kafka a Teheran

Drammatico - Iran 2023 - durata 77’

Titolo originale: Aye haye zamini

Regia: Ali Asgari, Alireza Khatami

Con Bahman Ark, Servin Zabetiyan, Faezeh Rad, Majid Salehi

Al cinema: Uscita in Italia il 05/10/2023