ABUSO. TRANSFOBIA. MASCOLINITÀ TOSSICA. VIOLENZA. BULLISMO. RANE GIGANTI.
Così si spalancava Assassination Nation, il film che Sam (figlio di Barry) Levinson ha firmato prima di Euphoria: urlando ironicamente, a tutto schermo in grassetto maiuscolo e nei colori della bandiera Usa, un elenco di trigger warning (avvisi di contenuto disturbante) e candidandosi con sfacciataggine allo status di cult.
Euphoria, primo teen drama prodotto dalla rete più adulta di tutte, HBO, i trigger warning li lascia alla promozione: si parla di adolescenti, sapete, e quindi di fatti segreti, scabrosi, estremi, che voi grandi non sospettereste mai e che vi terranno svegli la notte! Venite, prego, a moralizzare, mentre vi godete la materia pruriginosa.
Solo che Euphoria non è così, anche se con intelligenza si crogiola nel fraintendimento. Euphoria non è “realistica” nel senso al grado zero del termine, quello che tra realtà e rappresentazione vuole tracciare un’equivalenza inequivocabile, e fare della verità cronaca sensazionalistica. Euphoria, anzi, è trasfigurata e sopra le righe, fin da quell’incipit con la protagonista feto nella pancia di mamma, che monologa dickensianamente: «Sono nata tre giorni dopo l’11 settembre».
Rue, la diciassettenne tossica incarnata con totale abbandono da Zendaya, è narratrice onnisciente, inaffidabile eppure acutissima, nostra accompagnatrice nella prima linea di questa provincia allucinata e decadente, ispirata alle fotografie di Todd Hido. All’inizio di ogni puntata ci introduce al mondo intimo di uno dei suoi compagni, presentandoci il prologo del loro presente: traumi più o meno banali, dal bullo Nate figlio di bugie e privilegio alla sua fidanzata Maddy, ipersessualizzata e apatica fin da bambina, da Kat, i suoi disturbi alimentari, la sua ansia di rivincita che dal regno delle fan fiction scivola in quello delle cam girl, a Cassie, la bella della scuola, tragicamente romantica in un universo destinato a triturarla.
E, ovviamente, a Jules (Hunter Schafer, una rivelazione), la nuova arrivata, magnetica e misteriosa, ragazza transgender che flirta col pericolo eteronormato, che probabilmente è già troppo grande per questi quieti sobborghi, ma che è anche da subito la luce di Rue, la sua co-dipendente ancora di salvezza.
Prodotta dalle sapienti mani indie di A24, Euphoria - hanno scritto in molti - è tutta stile. È vero, e per fortuna: perché è col suo stile consapevolissimo ed eccessivo, nei vorticosi pianisequenza, nei lunghi carrelli e negli zoom vertiginosi, nelle luci e nei colori al neon, nel trucco e negli abiti tra fluo e glitter, nelle sospensioni psichedeliche tra onirismo e videoclip, nei suoi scarti tra satira, commedia e musical, e perfino in tutti i suoi anacronismi (Una vita al massimo, Romeo + Giulietta, i thriller anni 90 con Morgan Freeman...) che Levinson trova la tanto agognata verità. Un mondo e una messa in scena aderenti all’adolescenza, anche nella sostanza visiva, come uno Spring Breakers non ancora disperato: dove tutto è acuto, aumentato, luminoso, eccitante e doloroso, fragile e bellissimo, ingenuo e kitsch, vulnerabile e crudele. Per la prima e per l’ultima volta.
La serie tv
Euphoria (US)
Drammatico - USA 2019 - durata 60’
Titolo originale: Euphoria (US)
Creato da: Ron Leshem, Sam Levinson
Con Zendaya, Austin Abrams, Quintessa Swindell, Pell James, Keean Johnson, Hunter Schafer
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