“Riproduciamo chimicamente il sole dentro di noi”. A parlare è il protagonista di La herida luminosa (Daydreaming So Vividly About Our Spanish Holidays), giovane di Liverpool in vacanza alle Baleari che, come è comune tra gli adolescenti inglesi, ha carenze di vitamina D, dovuta dall’assenza prolungata del sole nel luogo in cui vive. Il corto di Christian Avilés è un monologo su immagini balneari straniate e fisse che preferiscono l’evocazione alla narrazione, un flusso di coscienza giovanile suicidiario che unisce la leggenda di Icaro al fenomeno del balconing.
È uno tra i tanti titoli del concorso che delinea un orizzonte giovanile uggioso, oppresso, alla meglio alienato, un ventaglio di opere che rendono Concorto un vero e proprio osservatorio sul cinema del futuro ma anche sul futuro stesso, o sul presente come sua premessa. I giovani protagonisti di queste storie vivono un tempo remoto, comatoso, distonico. Quasi tutte storie di crisi, colte dalla prospettiva problematizzante propria di un’età in fieri. L’instabilità dei tempi che stiamo vivendo, vista, replicata e subita dall’instabilità peculiare di un periodo esistenziale incerto. Non solo la Generazione Z, anche quella dei neo-trentenni, come nel pensoso Sardine di Johanna Caraire, in cui un trio di amiche riflette su ruoli sociali, maternità, morte. Addirittura, quella dei nati dopo il 2012, la Generazione Alpha, come nel corto d’animazione Aaah! di Osman Cerfon, in cui piccoli scolari si esprimono solo con l’esclamazione del titolo.
Innocenti e sadici, violenti e catatonici, formano una piccola società dissennata e triviale, una generazione senza mezzi e maestri, lasciata a se stessa. Qualsiasi adulto è assente, il presente è un delirio, il linguaggio è primordiale, l’istituzione continuamente profanata e intasata, in un caos restituito da un’animazione tremolante, instabile, che sabota la propria apparenza di illustrazione per l’infanzia con tinte grottesche. Nel resto dei titoli invece, si impone un’estetica asciutta, imperturbabile, spesso fissa e ravvicinata, a volte intramezzata da immagini d’archivio, come in Huo jian fa she shi (When a Rocket Sits on the Launch Pad), uno spaccato di volti di atleti-studenti cinesi in procinto di conoscere il risultato delle ammissioni alle scuole superiori.
Bohao Liu affida a voci e sguardi adolescenti la paura verso un’istituzione indifferente che educa all’efficienza massima e punisce il fallimento. Il futuro è una minaccia, non solo ambientale (aspetto più sondato nelle sezioni Supernature e Animal House), ma soprattutto interpersonale, affettivo, sociale e collettiva, come in Nuits blanches (Sleepless Nights) di Donatienne Berthereau, che unisce intimo e politico, lo sdegno giovanile per le elezioni francesi alla crisi amorosa della sua protagonista.
Perché lo scollamento dal mondo, passa quasi sempre da un allontanamento dal proprio corpo fisico: gettato nel vuoto nel suddetto La herida luminosa, ferito da tradizioni e credenze retrograde in Takanakuy, ridotto a strumento lavorativo in ostaggio in Pas le temps (Time’s Up), a strumento prestazionale in Huo jian fa she shi, continuamente leso e drogato in 27 di Flòra Anna Buda, frammento animato della vita di una ventisettenne costretta a casa dei genitori, perché impossibilitata a sostenere i costi dell’abitare sola; un avvicendarsi di frustrazione domestica, fuga allucinogena e fantasia erotica che ben riassume come vecchi principi, ruoli e rituali famigliari ricattino il futuro incerto della generazione più progressista, preoccupata ed etnicamente diversificata di sempre.
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