Ci siamo, cari amanti e amanti (femminile e maschile) delle serie belle che ci mettono un po’ di tempo a uscire in Italia e noi mica ce l’abbiamo la pazienza di aspettare e vogliamo sapere quanto sono ganze prima di tutti i nostri amici e amiche: è arrivato il momento in cui la rubrica è costretta a rinnegare lo spirito cronachistico che la contraddistingue e, invece di pescare una bella serie inedita uscita da poco, bara sapendo di barare e propone una bellissima sitcom inglese vecchia di un anno.
La motivazione ufficiale è che il motore di ricerca che usiamo per scartabellare le uscite estere è inevitabilmente americano-centrico e quella serie qui di cui parliamo questa settimana è stata distribuita pochi giorni fa negli Stati Uniti. Ma poi la scusa non regge mica tanto eh, dal momento che la micidiale Toast of Tinseltown è, a tutti gli effetti, la quarta stagione di quella che una volta (dal 2012 al 2015) si chiamava Toast of London. In tal caso, dopo esserci auto-smascherati, possiamo essere totalmente sinceri: sarà il caldo, sarà il demone che ci pervade quando percepiamo l’interezza del mondo impiegatizio impegnata nelle sue meritate e lunghissime ferie d’agosto, ma oggi noi vorremmo parlare di Matt Berry.
Nell’unico diagramma di Eulero-Venn che conta veramente nella vita, Matt Berry – o meglio tutti i personaggi che interpreta, ma a noi piace pensare che sia così anche quando si alza al mattino e pretende con voce stentorea il suo tè con il latte da una servitù che non esiste – è il solo punto di incontro tra l’insieme delle persone con la faccia più seria del mondo, l’insieme degli inglesi con l’atteggiamento più altezzoso di sempre e l’insieme dei beoti più stupidi del creato. Il tutto sempre e comunque con la stessa espressione impassibile e con un eloquio dalla dizione perfetta (fin troppo) e ben appoggiato sul diaframma. Sembra di sentire Richard Attenborough se avesse studiato da baritono e avesse deciso di commentare le soap opera messicane invece di raccontare i retroscena sulle migrazioni del pinguino imperatore. Matt Berry fornisce quel tipo di magia lì e se siete degli amanti delle serie tv fatte come si deve ce l’avete ben presente grazie alle cinque stagioni di What We Do in the Shadows, una serie ambientata a New York Citay.
Se invece siete fan heavy metal hardcore della serialità televisiva – di quelli che hanno visto ogni episodio di General Hospital (sono più di 15mila) non per passione ma per completismo – allora vi ricordate che Matt Berry è sempre stato il migliore, fin da quando debuttava in tv dando corda a Richard Aoyade in quella magnifica scemata di Garth Marenghi’s Darkplace, [la parodia di] una serie horror talmente estrema da non essere stata distribuita da nessuna parte tranne che in Perù. Era il 2004 e la collaborazione si è ripetuta nel similare Man to Man with Dean Learner (2006) e, soprattutto, dalla seconda stagione in avanti di The IT Crowd, la serie che ha confermato Ayoade come una delle menti comiche più brillanti in circolazione e Berry come un artista a sé assolutamente unico nel suo genere.
Nel 2012, finalmente, BBC raddrizza di mezzo grado l’entropia di questo universo e dà a Matt Berry un sacchetto di sterline e uno slot nella programmazione dicendogli (quasi sicuramente) “fai come ti pare, ma facce ride”. Barry approva, si inventa il personaggio di Steven Toast – attore fallito, incazzoso, con più nemesi di James Bond e altrettanto arrogante, ovviamente del tutto ignaro (o tutt’al più incurante) della sua spiacevolezza – e all’improvviso è come se Mr. Bean e Martufello si fossero impossessati del corpo di Orson Welles e della voce di Laurence Olivier. Un cortocircuito talmente estremo, naturale e unico del suo genere che vi ci vorranno due o tre puntate di Toast of Tinseltown (o di Toast of London se voleste partire da lontano) per farci l’abitudine.
A proposito di Toast of Tinseltown: sono passati sette anni dall’ultima volta che l’avevamo visto, ma Steven è rimasto lo stesso detestabile stronzo di sempre. Come dargli torto, però, se il buon vecchio Clem Fandango (l’hipster mezzo tonto che fa il tecnico nello studio di registrazione in cui Steven doppia cose per sbarcare il lunario) gli fa leggere un saggio complottista sull’assassinio di JFK ordito dalla moglie Jacqueline?
Un libraccio scritto dall’odioso Sola Mirronek, un americano incredibilmente fastidioso interpretato da Larry David. La svolta, per Steven, potrebbe essere rappresentata da una trasferta di lavoro negli Stati Uniti. Non prima di aver tentato di esorcizzare la sua rabbia incontrollabile con l’aiuto di un guru e di essersi fisicamente liberato del suo storico rivale di mustacchio Ray Purchase.
Dunque Steven vola a Hollywood con (in teoria) un lavoro in tasca e con il suo fedele cellulare del 1985 a portata di mano. Sul volo verso il successo interplanetario conosce lo strambo personaggio che diventerà il suo coinquilino americano: Russ Nightlife, interpretato da quell’altro fenomeno di Fred Armisen. E la sterlina si impenna.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta