Jim Gaffigan si era già fatto una brevissima passeggiata fra le colonne di questa rubrica qualche tempo fa, quando si parlava di comici gentili ricordando il mitico Louie Anderson. Gaffigan è meno gentile di Anderson, c’è da dire, tanto che nel suo nuovo speciale, Dark Pale su PrimeVideo, non esita ad augurare alla gente che impesta gli Starbucks senza essere in grado di stare al mondo (per me un latte macchiato non troppo caldo in tazza grande in vetro non troppo trasparente con poca cannella senza latticini né caffeina) di contrarre immantinente il morbo della morte. Ma Jim Gaffigan è anche, insieme a Stephen Colbert, il più cattolico fra i comici di successo in circolazione (si è anche [più o meno] esibito di fronte al papa) e quando fa certe battute iperboliche può permettersi di sciacquare via il peccato con una confessione mirata.
Pur usando un linguaggio scevro di parolacce e insulti gratuiti – per mantenere al minimo le richieste di indulgenza – Gaffigan rimane uno dei comici più prolifici in circolazione, essendo arrivato suo al decimo speciale; un successo alimentato dal talento, dalla disciplina, da un repertorio al limite del grafomane e dal volano dell’altra sua metà di carriera, quella da eccellente caratterista (è apparso in Bored to Death, Portlandia, Flight of the Conchords, That ‘70s Show e ultimamente in Full Circle). Essere gentili e cattolici, però, non gli impedisce di essere scatologico e morboso. Tutta la prima parte di Dark Pale – e molti rimandi successivi, solo per il gusto di ricordare al pubblico quei due argomenti (l’insistenza [più del contenuto in sé] diventa il grimaldello della comicità) – è dedicata, come recita fedelmente il titolo di questo articolo, alla morte e alla diarrea. Senza necessariamente che ci sia un rapporto di causa ed effetto a collegare le due faccende. Per fortuna, aggiungerei. Non è bello immaginare la quantità di diarrea necessaria a far trapassare qualcuno.
Come succede a ogni buon monoteista che si rispetti e che si comporti come il suo unico dio comanda per garantirsi il paradiso, la morte non spaventa Jim Gaffigan e non rappresenta un tabù. Anzi. La affronta con la sicumera di una persona destinata al regno dei cieli e la fa diventare una scusa valida per snocciolare eventuali slogan per compagnie cosmetiche che volessero entrare nel business dei cadaveri (“Maybe that corpse is still alive, or maybe it’s Maybelline”). Il fatto di saper recitare bene, aiuta Gaffigan a modulare la voce – che passa, tra set-up e punchline, dal falsetto a toni rauchi da basso e viceversa –, a sfruttare il potere della prosopopea per dare alle rimostranze dell’Altissimo un colore più interessante e a proporre imitazioni ardite. Mai avreste pensato di sentire James Stewart che riscrive la sceneggiatura di La vita è meravigliosa per farne un film che parla di cacca molla.
Questa transizione (molto soddisfatta e smargiassa) che trasporta il discorso dalle veglie funebri in cui c’è la bara aperta verso una lunga serie di battute sulla diarrea, rappresenta il cuore del monologo e segna il livello di affinatura a cui è arrivata la comicità di Gaffigan dopo trent’anni ininterrotti di carriera sui palchi di locali rigorosamente fumosi (ma anche dopo cinque figli fatti per glorificare il suo dio e avere sempre materiale [e rabbia] a disposizione). Gaffigan gioca costantemente con il meta-linguaggio della stand-up, esplicitando all’interno dei suoi bit i momenti di connessione e le scelte di tecnica comica facendo diventare il tutto parte integrante del monologo (“Adesso, per esempio, sarà molto complicato collegare un argomento normale a questa scarica di battute sulla diarrea”).
Quindi, quasi a voler anticipare la mossa di un eventuale detrattore scacchista, Gaffigan si lancia in un bel bit sulla forma mentis reazionaria, che resiste a ogni cambiamento (persino all’introduzione della torre campanaria al posto della meridiana) e che è sempre esistita dacché esiste la ggente; quella con due g, marchio registrato proprietà intellettuale dello stesso signore con la barba o avvolto nel burda o con un mālā in mano che ha inventato anche i vecchidimmerda, chiaramente solo e soltanto per sollazzo personale. A questo segmento si collega, sempre in maniera brillante, una presa in giro verso la gente che si indigna/offende per una battuta perché decide di prenderla sul personale. E per tutto il tempo l’energia di Gaffigan rimane quella consueta, a metà tra la rassegnazione stuporosa di un padre di molteplici adolescenti e la vis da animatore del campo estivo della chiesa particolarmente simpatico e carismatico che riesce a infilare Destinazione paradiso nella playlist della messa.
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