David Cronenberg è sempre stato lì. A documentare il postumano che ci attende. Anzi, che già stiamo vivendo. Solo che ha iniziato a farlo cinquant’anni fa, usando il verbo cinematografico e drammaturgico del “futuro anteriore”, del tempo che arriverà ma in un certo senso è già stato. E quindi? Ricominciamo dall’inizio: anno di produzione 1970, Crimes of the Future (ora su MUBI). Cronenberg è un giovane di 27 anni laureato in lettere che ha già divorato il primo Ballard, Burroughs e gran parte della Beat Generation. Ha realizzato qualche corto e un film underground, Stereo (pure su MUBI), di poco più di un’ora, da lui montato e fotografato in b/n.
Nel secondo film passa al colore, continuando a occuparsi di tutto: regia, sceneggiatura, produzione, montaggio, fotografia. Si immagina un mondo post-pandemico dove non ci sono più donne. Non ci sono nemmeno dialoghi. Solo la voce fuori campo del protagonista, a raccontare gli antefatti e quello che vediamo come la cronaca asettica di un trattato scientifico. Il protagonista è Adrian Tripod, un dottore proprietario di una clinica, allievo del dermatologo Antoine Rouge. È stato quest’ultimo a scatenare l’epidemia in seguito ad alcune ricerche. Ed è un nome che ritorna ossessivamente nei pensieri e nei ricordi di Adrian, che a sua volta trascorre le giornate visitando pazienti, tutti uomini ovviamente, dalle patologie più strambe. Uno di questi secerne un fluido bianco dalle orecchie. Un altro produce organi sconosciuti che vengono asportati dal corpo per poi ricrescere in quello che il film stesso definisce «una specie di cancro creativo».
Questo dettaglio è uno dei legami principali con l’omonimo film realizzato da Cronenberg nel 2022 con Viggo Mortensen che, nei panni dell’artista Saul Tenser, in un futuro imprecisato esibisce le sue asportazioni tumorali come fossero una performance. Chiaramente, però, nel 1970 è ancora presto per far deflagrare la poetica cronenberghiana in un’esibita e in qualche modo inevitabilmente autoreferenziale “società dello spettacolo”. Ma lo sguardo di Cronenberg è lì, in forma embrionale ma cristallina. Crimes of the Future è un’opera seconda anche figlia del “suo” tempo, espansa in tanti, diversi punti di fuga che vanno dall’arte concettuale al comico-demenziale, dall’horror al teatro d’avanguardia. Come nel recente film “gemello” del 2022, anche in questo caso viene rappresentato un mondo anestetizzato.
La mancanza di suoni si riflette nell’assenza di logica e di emozioni, con personaggi che vagano in contesti urbani alienanti e semideserti. L’umanità immaginata dal giovane Cronenberg è grottesca e de-virilizzata, costretta a formulare improbabili teorie evolutive ed estensioni sensoriali. E come nel film con Mortensen, anche questo Crimes of the Future si chiude con una lacrima in primo piano. Forse tutto il cinema del regista canadese può essere riassunto in questa disperata ricerca del sentire. Nel progressivo scioglimento della mente e del corpo in un atto di ultima resistenza al postumano.
Il film
Crimes of the Future
Sperimentale - Canada 1970 - durata 70’
Titolo originale: Crimes of the Future
Regia: David Cronenberg
Con Ronald Mlodzik, Jon Lidolt, Tania Zolty, Jack Messinger, Paul Mulholland, William Haslam
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