Tra le personalità più importanti del mondo a cavallo tra fotografia, cinema e fashion degli anni sessanta, il newyorchese William Klein (autore marginalizzato dalla manualistica, ma con un seguito di culto che non si è ancora esaurito) ha speso gran parte della sua carriera come fotografo di Vogue, pubblicando nel corso del tempo una serie di lavori cruciali (Gun 1, New York), che gli sono valsi una serie di premi (tra cui il premio Nadar, uno dei premi per la fotografia più ambiti in Francia) oltre che a uno status quasi unico nel suo genere: da un lato Klein è stato uno dei più grandi street photographer della storia, dall’altro una figura capace di ibridare diversi linguaggi, cimentandosi con lo still frame, il cortometraggio e il documentario, facendo dialogare forme differenti (qui si spinge fino all’integrazione del découpage).
Nel suo primo lungometraggio del 1966, Chi sei, Polly Maggoo? (Qui êtes-vous, Polly Maggoo?), disponibile su arte.tv fino al 31 agosto 2023, il regista getta le basi di quell’approccio ironico e critico nei confronti del mondo della moda stesso (di cui non era solo rappresentate, ma era anche certosino documentatore) a cui darà seguito nei successivi Mr. Freedom e The Model Couple e che ha caratterizzato trasversalmente tutta la sua carriera. In quest’opera, che ha fatto scuola per autori come Paul Verhoeven e Nicolas Winding Refn, e aperto la strada per i loro Showgirls e The Neon Demon, il regista segue una giovane e affascinante modella statunitense sulla cresta dell’onda (una donna di tale bellezza che gli uomini, in una delle scene più note del film, finiscono col farsi investire in strada pur di farle la corte), Polly Maggoo appunto, interpretata da Dorothy McGowan (anch’essa modella per Vogue che si ritirò da vita pubblica dopo le riprese della pellicola).
La ragazza, icona di stile, pin-up per le più importanti riviste di moda nella Parigi del 1966, partecipa a un programma televisivo francese intitolato “chi sei?”, in una puntata a lei interamente dedicata, una domanda alla quale la donna risponde “me lo chiedo anche io alcune volte”: da qui partirà un’indagine a suon di flash e macchine da presa gestita da una troupe televisiva, che vede al suo vertice il reporter Grégoir Pecque (Jean Rochefort), eseguita però con gli stessi mezzi che hanno generato attorno alla donna quell’aura di impenetrabilità da cui gli uomini (e le macchine) che le girano attorno sembrano essere ossessionati.
I media sembrano quindi profondamente incapaci di cogliere, come in un circuito chiuso o in un quadro di Escher, l’esigenza di autenticità che loro stessi hanno generato con i loro ritratti à la page. Al contempo, Klein non si limita a seguire la donna nelle sue interviste o nel rapporto coi corteggiatori, mostrandone lo smarrimento identitario (si veda e si riveda la scena in cui la ragazza si guarda a uno specchio che ne deforma e seziona il volto) ma fornisce un ritratto dei vezzi del mondo del fashion, portandone alla luce le stanze segrete e mettendone alla berlina i vezzi: se non un vero e proprio j’accuse, un ritratto grottesco ancora attuale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta