Capita talune volte che noialtri, consigliatori compulsivi di serie, ci facciamo quelle che in gergo tecnico si chiamano “le menate”. E allora vai di robe tipo che quella sitcom là dovreste guardarla perché scardina il linguaggio di genere, quella dramedy lì dovreste darci un’occhiata perché gioca magistralmente con la struttura del procedurale unendo verticalità e orizzontalità, questo thriller qui andrebbe visto perché rimanda a questo quello e quell’altro autore; e poi la diegesi, ogni puntata che è di un genere diverso, il valore metaforico e allegorico, la triquetra chiusa ma infinita e, abbastanza sinceramente, anche i cazzi e i mazzi. Non sempre sono cialtronate (a essere onesto: praticamente mai). Ma tante volte sono sovrastrutture. Sono informazioni in più che ricoprono l’essenziale. Ovvero: certe volte una serie val la pena di essere vista solo e soltanto perché è interpretata da giganti come Michael Sheen (se non lo conoscete partirei da Frost/Nixon. Il duello) e Sharon Horgan (se non la conoscete conoscetela e basta, ma per estrarci dalla tautologia comincerei con Bad Sisters di cui è anche autrice); oltre a essere scritta da Jack Thorne, che ha fatto da showrunner all’unico adattamento accettabile di His Dark Materials - Queste oscure materie, ma soprattutto ha scritto insieme a Shane Meadows la trilogia di miniserie This Is England. Ecco, a volte non serve proprio altro per consigliare e/o prendere in mano una serie.
Secondariamente possiamo aggiungere che Best Interests, miniserie in quattro puntate in programmazione su BBC One, è già il titolo televisivo strappacuore dell’anno. Di quelli che, anche avendo strumenti retorici soprannaturali e volendo fare i fenomeni, è proprio impossibile alleggerire; per via della dignità, della compostezza nella tragedia e del rispetto con cui vengono trattati certi argomenti. Quando qualche stronzo fa pornografia del dolore, va sbertucciato in lungo e in largo. Quando un drammaturgo come Thorne e due attori come Horgan e Sheen raccontano in questo modo una storia del genere, si può solo ammirare, empatizzare e cercare di uscirne arricchiti.
Andrew e Nicci – si scrive Nicci ma si pronuncia Nicchi – sono marito e moglie felicemente titolari di una simpatica famiglia suburbana inglese. Villetta monofamigliare con giardino, station wagon nel vialetto, lavori stabili, mutuo presumibilmente estinto. Seguendo la narrazione dell’episodio pilota, li vediamo prima protagonisti di un incipit dove stanno per entrare in tribunale separati, lanciandosi da lontano uno sguardo straziante e straziato, quindi la storia rimbalza a sette mesi prima. I due si sono concessi una rara vacanza e stanno tornando a casa in treno, mostrando un’intesa di coppia invidiabile. A casa, ritrovano la primogenita Katie – rara adolescente a bassa manutenzione e in grado di provare empatia senza capriccio – e la seconda figlia Marnie, affetta sin dalla nascita da una rara e aggressiva forma di distrofia muscolare. Marnie non è fisicamente autonoma, ha bisogno di aiuto per muoversi e respirare, ed è una ragazzina adorabile e ricoperta di amore, che ricambia con evidente gioia di vivere. La notte del ritorno dei genitori dalla breve vacanza, Marnie ha una crisi respiratoria (la settima dell’anno) che costringe i medici a intubarla.
La degenerazione causata dalla distrofia è sempre più estesa e rende sempre più difficoltosa la ripresa da eventi del genere. Ma stavolta è peggio. Mentre è ancora intubata, Marnie ha un arresto cardiaco che potrebbe aver causato danni cerebrali irreparabili. La dottoressa che la segue ormai da sette anni si sente in dovere di avere un colloquio con Andrew e Nicci: forse è il caso di cominciare a ragionare su una terapia palliativa per accompagnare la ragazza nel suo percorso verso una morte dolce e priva di sofferenze. Andrew tentenna, sembra disposto a fidarsi della logica medico-scientifica. Nicci è adamantina e inamovibile: le terapie non verranno interrotte e Marnie si riprenderà, come è sempre successo. Il finale del pilota ritorna all’inizio, all’entrata del tribunale con la famiglia divisa, lasciandoci il dubbio su quello che è successo da quando i coniugi hanno parlato con i medici della figlia.
All’interno del cerchio disegnato dal primo episodio, poi, sono disseminate piccole madeleine – un pacchetto di patatine preso al distributore dell’ospedale, un sandwich fatto di pane vegano, la consistenza di un cuscino – che aprono brevi squarci sul passato della famiglia. Gioie e dolori che si alternano nella costruzione di un ritratto tanto verosimile quanto doloroso.
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