«Intendiamo la stop motion come una documentazione di processi materiali». Lo sostiene Cristóbal León, parlando del lavoro di narrazione e animazione condiviso con Joaquín Cociña, coetaneo e connazionale, insieme al quale dal 2007 a oggi compone (e scompone), costruisce (e dilania) fiabe nere che prendono forma nel loro studio a Santiago del Cile e, prima ancora, da un rimosso collettivo, un orrore che ancora respira invisibile nel presente.
The Wolf House (2018), su MUBI, primo lungometraggio dopo alcuni corti (tra cui Lucía e Luis), è un immaginario racconto ammonitore che l’amena Colonia Dignidad - comunità fondata da un ex SS per riversarvi coloni tedeschi dopo la Seconda guerra mondiale, e negli anni 70 di Augusto Pinochet centro di tortura - mostra ai bimbi cileni perché desistano da tentativi e tentazioni di fuga; così che, come Maria, la peccatrice redenta, rimangano rannicchiati nella morsa del villaggio.
The Bones (2021, miglior corto a Orizzonti 2021, prodotto da Ari Aster e sempre su MUBI) è un rituale spiritico in cui le anime dei politici conservatori Diego Portales e Jaime Guzmán, che posero le fondamenta per la deriva autoritaria del paese, vengono evocate da una bambolina col volto pallido di Constanza Nordenflycht, quindicenne circuita da Portales da cui ebbe tre figli mai riconosciuti dallo stato mentre lui era in vita. Documentazione di processi materiali: insomma, la storia. E nella sua messa in scena, dunque nella sua finzione - il found footage, il contenuto che si professa d’archivio, la stop motion contemporanea che si finge reperto antico (in esergo a The Bones lo si dichiara il primo film animato in stop motion nel cinema cileno, datazione al 1901) - León e Cociña ricostruiscono il passato del Cile, senza mai risolverlo. È una ferita aperta, condannata a essere eterna come il ciclo della vita e della morte, l’una dentro l’altra in un carosello nel videoclip per PJ Harvey I Inside the Old Year Dying.
Un taglio da cui il sangue non finisce mai di scorrere, imbrattando d’incubo, incessantemente, qualunque storia si propaghi dagli oggetti di scena: gesso, cartapesta, legno, vernice, tessuto. Materiali, resti vivi, segni tangibili che ribadiscono la traccia dell’esistente ormai distrutto, prove in movimento che quasi possiamo toccare con mano. Memorie che gridano intrappolate, chiuse in santuari perturbanti: un bosco, una casa, una scatola. Una comunità, una famiglia, una religione. Uno per tutti: il regime, che è casa, è religione, è famiglia. E fa ammalare le immagini di follia.
Girava in tondo in una fantasia viziosa, inconcludente e mai libero, pure Joaquin Phoenix nel segmento animato, tra diorama e rotoscopio, di Beau ha paura, farina allucinatoria del sacco di León e Cociña: il sogno di una vita intera, ma incastrato su un palcoscenico, dentro l’ennesima finzione. L’ennesima fiaba. Una dove il lupo cattivo, impossibile da uccidere, è il trauma che sussurra a Maria: «Sono sempre stato qui. Sono sempre stato dentro di te».
Cristóbal León e Joaquín Cociña su MUBI
The Wolf House
Animazione - Cile 2018 - durata 75’
Titolo originale: La casa lobo
Regia: Cristóbal León, Joaquín Cociña
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta