Oltre agli attori (tutti quanti di rara perfezione), l’altro grande punto di forza del reboot di Perry Mason targato HBO è Los Angeles: non una semplice ambientazione, e nemmeno, come recita il vecchio e abusato adagio, «una vera protagonista». Fosse una serie fantasy o sci-fi useremmo il termine worldbuilding, e il punto è che il passo seriale, gli elevati valori produttivi e il certosino lavoro di ricerca di autori e produttori rendono l’esperienza di visione di Perry Mason un immersivo salto indietro nel tempo, in quei primi anni 30 in cui la Città degli angeli è ancora una terra di mezzo tra Frontiera e metropoli (e infatti il genere dello show, lucidamente noir, si apre qui a qualche squarcio di memoria western).
Dunque non stupisce che il caso attorno cui si organizza questa seconda annata sia intessuto a maglie strettissime alla Storia e all’edificazione della città: la vittima è il figlio celebre e tendenzialmente inetto di un potentissimo uomo d’affari pilastro della comunità (benché fittizi, i McCutcheon sono ispirati a figure realmente esistite, il petroliere Ed Doheny e il figlio Ned; lo stesso vale per la ricchissima Camilla Nygaard, interpretata da una glaciale Hope Davis e basata sulla magnate Emma Summers); gli accusati sono due giovanissimi fratelli d’origine messicana, pescati dalla polizia in quella parte di L.A. che è ancora una baraccopoli, lontanissima dalle ville in stile coloniale di Beverly Hills; e nonostante i proclami del rampante sostituto procuratore Milligan il caso è tutt’altro che già chiuso, anzi coinvolge le navi ormeggiate in vista della costa in cui bere e giocare d’azzardo alla faccia del Proibizionismo, il primo stadio di baseball in costruzione, il commercio all’ingrosso di frutta e verdura, il nascente traffico di droga...
A tre anni dalla prima stagione, lo show prodotto dalla Team Downey di Susan e Robert Downey Jr. accoglie felicemente una nuova coppia di showrunner, Jack Amiel e Michael Begler, i responsabili dell’ottima The Knick diretta da Steven Soderbergh, dove già indagavano le radici dell’America attraverso le sue istituzioni (là un ospedale nella New York del 1900). In questa seconda stagione, il reboot della serie basata sui romanzi del prolifico Erle Stanley Gardner resta un prequel: sì, Perry è diventato avvocato, ha istituito il proprio studio con l’aiuto irrinunciabile di Della Street e, perfino controvoglia, non riesce a mollare la presa se snasa qualcosa che non gli torna. Ma deve ancora negoziare con la propria cinica sfiducia nel mondo, esacerbata a inizio stagione dal sucidio di Emily Dodson, l’innocente che era riuscito a scagionare nel suo primo celebre processo. Si dà solo a casi civili (con cameo di Sean Astin in divertente controcasting), e si annoia mortalmente, esasperando Della e lasciando disoccupato Paul; si domanda se il suo mentore-nemesi Hamilton Burger, procuratore distrettuale, non abbia più che mai ragione quando dice che «non esiste la giustizia, esiste solo l’illusione della giustizia». Amiel & Begler ne approfittano per regalarci il gusto di “rimettere insieme la vecchia banda”, e per regalargli un caso insieme semplice e intelligente - e l’epifania che a essere un’illusione è il sistema, e a contare la battaglia.
La serie tv
Perry Mason (2020)
Noir - USA 2020 - durata 56’
Titolo originale: Perry Mason (2020)
Creato da: Erle Stanley Gardner, Ron Fitzgerald, Rolin Jones
Con Matthew Rhys, Jedediah Jenk, Aaron Stanford, Hemky Madera, Baraka May, Cooper J. Friedman
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta