Dalle note biografiche che ci è dato leggere, Paolo Gioli nel 1967 si trova a New York. 25 anni. Può contare su una borsa di studio di un anno ottenuta presso la John Cabot Fund. Lì ha modo di approfondire lo studio di certa pittura legata alla “Scuola di New York”; in più, frequenta le sale della Film-Maker’s Cinematheque. Scopre il New American Cinema, cioè una maniera di realizzare film in modo totalmente indipendente, come un vero artista. Poi scade la borsa di studio. Gioli si trova costretto a lasciare New York per problemi di rinnovo del visto. Da New York si ritrova domiciliato a Roma. Poco male. Tiene tra le mani uno strumento che diventerà per lui di cruciale importanza: una cinepresa Bolex Paillard H16. Ha una forma a parallelepipedo; alluminio rivestito di pelle nera. Nella parte centrale si trova il motore, che - miracoli della tecnica - si carica a molla. La sua perfezione è mostruosa. Potete avvertirlo dal suono della sua meccanica, quella specie di scansione, un “brrhumm” costante che definisce una metrica, simile a quella del proiettore (se ci pensate, quel rumore scandisce il passo di ogni fotogramma). Il vano porta bobine può contenere dai 15 ai 30 metri di pellicola 16 mm. La pellicola può venire riavvolta, rielaborata. Sulla parte anteriore si trova l’ottica.

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Volti attraverso

Non avendo a disposizione gli studios di Hollywood, o quelli sul Tevere, Gioli trasforma quel parallelepipedo nel suo laboratorio - nel teatro di posa che permetterà la realizzazione dei suoi film. Tutto avviene lì dentro, grazie a quella meccanica di precisione. Filmando un fotogramma alla volta. Filmando il loro scontro (sopra la sua tavola di montaggio c’è una foto da La corazzata Potëmkin di Ejzenštejn), manipolando, analizzando gli elementi costitutivi del cinema. La cinepresa, la materia pellicolare (perforazioni, interlinea, giunte) e la sua velocità di scorrimento (utilizza per esempio il fotofinish), la proiezione schermica e il fascio luminoso diventano gli “attori” con cui lavorerà. Sembra poco, ma da quel poco si può ottenere tanto.

Quando l'occhio trema, Paolo Gioli
Quando l'occhio trema, Paolo Gioli

Da Commutazioni con mutazione (1969) fino a Quando i corpi si toccano (2012) è tutto uno studio di materiali, un rifotografare vecchi formati di pellicola (L’operatore perforato, 1979), riflettere la luce e le immagini grazie a inediti angoli di rifrazione. È tutto un trasferire informazioni, stabilire tempi di esposizione e fissaggi chimici, un levare otturatori alla cinepresa trasformando la propria mano guantata in quello strumento. Insomma, quel parallelepipedo funge da vera camera ottica. Ma Gioli non si accontenta mai: crea film stenopeici, senza macchina da presa, impressionando la pellicola grazie a piccoli fori all’interno di un’asta (L’uomo senza macchina da presa, datato 1973-1981-1989). Crea otturatori esterni, messi in movimento da vecchie macchine da cucire. Omaggia Étienne-Jules Marey e il precinema (Piccolo film decomposto, 1986) o icone pop come Marilyn (Filmarilyn, 1992). Coi resti di pellicola crea serigrafie che chiama Schermo-schermo. Lavora a serie fotografiche, dipinti, disegni e grafica. Viene accolto in musei, gallerie, a volte in cineteche. Viene studiato.

I volumi a lui dedicati aumentano. Esce anche un doppio dvd edito da Rarovideo, curato dal suo mecenate e compagno di avventure, Paolo Vampa. C’è un aspetto sensuale nel suo lavoro. E non solo per l’erotismo di certi film. È il gesto stesso del filmare, fissare, trasferire, ingrandire - insomma il suo rapporto col mezzo - a definire un’erotica.

Autore

Rinaldo Censi

Rinaldo Censi scrive, traduce libri, programma film (quando gliene danno l'occasione). Si interessa alle frontiere disciplinari. Ama la musica da tappezzeria.