A un certo punto del Disprezzo, il produttore Prokosch propone allo scrittore Paul e alla moglie Camille di lasciare Roma per trasferirsi a Capri e seguire la troupe impegnata nelle riprese del film di cui l’uomo sarà sceneggiatore. Da subito, questa semplice eventualità assume i connotati di qualcosa di enorme, di decisivo e ineluttabile. È una possibilità che ritorna continuamente nei discorsi della coppia, come una responsabilità che nessuno vuole assumersi. Un’evenienza minacciosa che viene finalmente sciolta quando, dopo una proiezione di Viaggio in Italia, i protagonisti si ritrovano fuori dal cinema e la donna chiede dove alloggerebbero lei e il marito qualora accettassero l’invito.
“My villa”, risponde Prokosch, gettando i due in un inspiegabile sconforto. Nessuno lo sa, ma tutti, in qualche modo, lo percepiscono: quella villa sarà il teatro in cui andrà in scena l’ultimo atto di un tradimento annunciato, il luogo in cui Camille cederà alle avances del produttore sancendo la fine del suo rapporto con Paul e gettando le basi per la sua stessa fine.
Evocata a lungo, la casa di Prokosch è finalmente inquadrata al termine di una panoramica che abbandona Paul, impegnato in un dialogo con Fritz Lang, per fermarsi sulla sua sagoma, ripresa da lontano e dall’alto a venti minuti dalla fine. L’apparizione non delude le attese, perché è folgorante: una macchia rossa tra i faraglioni, un volume squadrato abbarbicato su un promontorio roccioso, un’immagine incongrua e abbacinante. Come è noto, si tratta di Villa Malaparte, dimora realizzata tra il 1938 e il 1940 la cui paternità è oggi interamente attribuita allo scrittore, il quale licenziò l’architetto Adalberto Libera per costruirsela da sé con l’aiuto di un muratore locale, dando vita, come scrive Piero Golia su Domus a “un capolavoro razionalista rivisto in chiave surrealista”.
Tutt’altro che razionalista è, per esempio, la gradonata che spezza la forma di parallelepipedo della costruzione per inerpicarsi, ampliandosi, verso il tetto spianato, magnifica terrazza sulla cui superficie Malaparte si concede l’unico sbuffo ornamentale: un’onda curvilinea di cemento bianco utile a nascondere la canna fumaria e a offrire riparo da sguardi non desiderati.
A questo razionalismo intinto nell’irrazionale si affianca poi la citazione classica, fornita sia da una pianta di rigorosa simmetria (con la collocazione degli ambienti lungo un asse longitudinale) sia da una scansione spaziale che prevedeva l’atrio come ambiente centrale: soluzioni che permettono di assimilare l’impianto della casa a quello della domus ellenica, e che contribuiscono a definire i tratti di un vero e proprio unicum architettonico.
Ma per Godard la villa non è solo il tempio in cui si sacralizza la morte di un amore e si preconizza la morte tout-court; è anche il simbolo plastico di un processo di decadenza culturale e di mercificazione dell’arte da cui non si sarebbe mai più tornati indietro. Malaparte costruì la casa come rappresentazione di se stesso (e della sua egolatria), tanto da ribattezzarla “casa come me”. Per farlo, scelse un luogo impervio e selvaggio “il posto più drammatico dell’isola, adatto per spiriti forti”, come ebbe a scrivere.
Il rosso sangue dei muri era la riproduzione cromatica del suo ribollire interiore, mentre la fusione della struttura con la roccia, la mancanza di parapetti sulla terrazza e la piccola finestra collocata sotto il camino, che permetteva di scrutare le mareggiate sotto le fiamme crepitanti, erano gli indizi di una personalità che aspirava a fondersi totalmente con la natura, se non a dominarla. Appena 20 anni dopo il regista, con disperata lucidità, assegnava quella stessa casa a un miliardario volgare e sprezzante, che avrebbe ingaggiato uno dei più grandi registi della storia del cinema e uno scrittore di teatro per firmare una versione dell’Odissea ridotta a un miserabile screzio tra due amanti stufi l’uno dell’altra. Un uomo che, a sentir parlare di cultura, sarebbe balzato dalla sedia per mettere mano al libretto degli assegni.
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Il film
Il disprezzo
Drammatico - Francia 1963 - durata 81’
Titolo originale: Le mépris
Regia: Jean-Luc Godard
Con Brigitte Bardot, Michel Piccoli, Jack Palance, Giorgia Moll, Fritz Lang
Al cinema: Uscita in Italia il 06/02/2017
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