Anche se in realtà sarebbe ancora più sensato dire che, in Jury Duty, dovere e piacere vanno di pari passo, su due binari paralleli e divisi da uno di quegli specchi che i poliziotti dei film usano per gli interrogatori: il piacere vede che sta correndo insieme al dovere, ma non viceversa.

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Jury Duty

Jury Duty è una serie che quei due bravi ragazzi di Lee Eisenberg e Gene Stupnitsky (registi e sceneggiatori di un buon tot di puntate di The Office versione americana) hanno creato per Freevee, di cui avevamo già avuto modo di discutere animatamente. Il fatto che sia un’esclusiva Freevee può significare due cose: totale libertà per fare qualsiasi mattata semi-sperimentale, dal momento che il budget è risicato e comunque nessuno vedrà una serie distribuita dalla piattaforma streaming meno diffusa del mondo; e un possibile passaggio anche su PrimeVideo, qualora il famigerato popolo della rete dovesse decretare aperto il culto per questa serie, che in effetti ha molte carte in regola per essere un raro gioiellino di comicità.

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Jury Duty

Torniamo a tutto ciuf ciuf sui binari di cui sopra però. Jury Duty dice di essere una docuserie incentrata su un processo penale, con pieno accesso da parte delle telecamere e della troupe al dietro le quinte dei lavori della giuria popolare. Che sarebbe una cosa che non si può mica fare, dice la legge statunitense. E infatti è tutto finto. Tutte le persone coinvolte sono attori tranne uno, il povero Ronald Gladden a cui hanno detto che è assolutamente tutto vero, che si tratta di un’occasione speciale concessa dal tribunale di Los Angeles o che semplicemente, che cacchio povero Ronald, lui non è mica laureato in giurisprudenza e non può sapere che è vietato filmare a scopi spettacolari una giuria popolare, né nelle sue fasi iniziali di selezione, né mentre è all’opera.

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Jury Duty

In pratica sono tutti lì per divertirsi a improvvisare interpretando personaggi bislacchi (quanto basta per rimanere nel reame del credibile), mentre Ronald è convinto di stare facendo il suo dovere civico di buon cittadino al servizio delle istituzioni. Il tutto infiocchettato in una confezione da finto documentario – senza nascondere la maggior parte delle telecamere – che funziona alla perfezione per incastrare ancora meglio il patatone Ronald in un mini Truman Show semi-consapevole, molto meno sadico e molto più votato alla comicità cringe. In pratica si tratta dell’ottimo Nathan Fielder che – portandosi dietro anche Dan Perrault e Tony Yacenda, quelli dei mockumentary American Vandal e Players – comincia a fare scuola nel linguaggio televisivo statunitense.

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Jury Duty

Per tutta la serie, Ronald è circondato da questo accrocco di personaggi bizzarri che, trattandosi di Los Angeles e degli Stati Uniti in generale, sono perfettamente plausibili. C’è un tizio ossessionato dall’assunzione di liquidi e dal transumanesimo, una ragazza sessualmente aggressiva e dipendente dagli zuccheri, una maniaca dei podcast true crime, un ragazzo di provincia che si è appena trasferito a Los Angeles e che per sfuggire alla corvée prende spunto da I Griffin (fallendo miseramente proprio come Peter). E poi ci sarebbe anche James Marsden, proprio quello vero, che interpreta una versione esageratamente vanesia e narcisista di se stesso che è stata convocata per i doveri da giurato ed è costantemente alla ricerca di un modo per svicolare. Anche citando il fatto di essere già stato membro di un’altra giuria: quella di Cannes. Un pirla praticamente. I cui tentativi di magheggio per evitare l’accollo provocano la scelta, da parte del giudice, di isolare la giuria (brillante stratagemma per semplificare le riprese e lo sviluppo narrativo del finto documentario).

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Jury Duty

Il pilota, che presenta agilmente la premessa e copre la fase di selezione preliminare della giuria, è impeccabile. Vuoi per il formato, ispirato alle confezioni a telecamera multipla dei docu-reality ma compresso nella struttura tipica della sitcom (episodi da 25 minuti), che assicura un ritmo spedito e in cui emerge un gran lavoro di montaggio. Vuoi per la bravura da improvvisatori degli interpreti, che reggono il palco di questa innocua truffa ai danni di Ronald. Ma soprattutto per la bravura di Eisenberg e Stupnitsky, che hanno saputo manipolare i diversi linguaggi in ballo arrivando a individuare (e sfruttare a scopi comici) quel perfetto margine del diagramma di Venn in cui reale e finzione si accavallano e sono fondamentalmente indistinguibili.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.