Io sono l’amore è un film di architetture. Si apre su alcuni luoghi simbolo di una Milano innevata (la stazione centrale, la Torre Branca), poi l’azione si sposta in quella che sarà la location principale, quella in cui vive la famiglia Recchi: nella realtà è Villa Necchi Campiglio, residenza unifamiliare nel pieno centro del capoluogo meneghino (via Mozart), progettata da Pietro Portaluppi nel 1932, portata a compimento nel 1935, infine donata al FAI nel 2001 e oggi visitabile a pagamento.
L’abitazione viene commissionata a Portaluppi da Angelo Campiglio e dalla moglie Gigina Necchi, imprenditori rappresentanti di un’altissima borghesia milanese cosmopolita e incline al mecenatismo, i quali danno carta bianca all’architetto anche in termini di budget. La casa stupisce ancora oggi per il rigore geometrico delle linee e delle superfici e per i suoi volumi netti e marcati, plastico tributo all’allora nascente razionalismo. L’empito modernista è vagamente attenuato da alcuni elementi déco: le finiture e i materiali preziosi, le boiserie e una serie di straordinarie porte-scultura sempre disegnate da Portaluppi.
Nella sequenza iniziale, la casa è presentata attraverso i personaggi che la attraversano, passando dalla sala da pranzo con le pareti rivestite in pergamena al fumoir col grande camino rinascimentale, dalla scala con balaustra a doppia greca che collega i due livelli al bagno con le pareti in marmo.
Intervistato all’epoca dell’uscita del film, il regista raccontò di essersi imbattuto nella villa per puro caso; e stranamente casuale è l’assonanza tra il nome della famiglia finzionale, Recchi, e quella dei proprietari dell’abitazione. L’autore lavora sulla dimora in maniera duplice. Da una parte la mostra come un edificio di algida bellezza ma cupo e concentrazionario, in sfacciata antitesi con la soleggiata casa nella campagna sanremese di Antonio, il giovane cuoco che sedurrà Emma Recchi, moglie del delfino della dinastia, innescando la tragedia. Dall’altra ne fa uno spazio fuori dal tempo, in cui passato e presente si confondono, in cui i Necchi (Campiglio) trascolorano nei Recchi, e dove una borghesia illuminata cede il passo a un’altra borghesia, diversa e corrotta (dai dialoghi dei giovani eredi si apprende degli oscuri legami stretti dalla famiglia col fascismo), che arranca per trovare il proprio posto nel mondo collassando su se stessa.
Io sono l’amore diventa così lo Shining di Guadagnino (che pochi anni dopo rileggerà con libertà inusitata anche Suspiria), e Villa Necchi Campiglio è il suo Overlook: un antro lussuoso in cui archi temporali diversi si confondono e si sovrappongono e dove uno dei pochi riferimenti alla contemporaneità è un televisore acceso sulle immagini di Philadelphia di Demme. Nella casa non si allude mai all’attualità, non c’è traccia di cellulari e quando Elisabetta/Rohrwacher mostra alla madre le foto della ragazza di cui è innamorata, lo fa porgendole alcune Polaroid.
La dimora è uno spazio di fantasmi, senza apparizioni mostruose ma in cui il sangue non è assente, in cui vita ed emozioni sembrano precluse. Sembra capirlo d’improvviso Emma/Swinton nel finale quando, dopo aver sepolto il figlio, si precipita all’interno della costruzione per spogliarsi del suo lutto e fuggire altrove. Prima di farlo, la donna si ferma per qualche istante su una soglia, incorniciata dal telaio della porta che mette in comunicazione l’ingresso e la stanza dove la famiglia piange la morte del rampollo.
I Recchi si guardano fra di loro per cercare di decifrare le sue azioni, e quando tornano a volgere lo sguardo verso Emma, lei è svanita. Un rapido movimento in avanti della macchina ne esplora e ne certifica l’assenza, infine uno stacco introduce l’ultima immagine: quella delle splendide vetrate aperte sul giardino deserto. Aperte alla vita.
Il film
Io sono l'amore
Mélo - Italia 2009 - durata 120’
Titolo originale: Io sono l'amore
Regia: Luca Guadagnino
Con Tilda Swinton, Flavio Parenti, Edoardo Gabbriellini, Alba Rohrwacher, Pippo Delbono, Diane Fleri
Al cinema: Uscita in Italia il 19/03/2010
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