Curioso, per un regista metropolitano come Woody Allen, tanto ossessionato dalle geometrie razionali e dal traffico di New York da aver dedicato uno dei suoi più celebri film a Manhattan, perdere la testa per una piccola cittadina nelle Asturie, una regione nel nord-ovest della Spagna dove si alternano zone montuose a coste frastagliate affacciate sull’oceano Atlantico.
È il 2002 quando Allen si reca a Oviedo per ritirare un premio e – spiega la voce narrante di Woody Allen e le erotiche Asturias, approfondimento contenuto nella serie Invito al viaggio di arte.tv – subito scocca l’amore tra lui e la città. Questa scintilla darà vita poi, cinque anni dopo, a Vicky Cristina Barcelona, una delle opere più amate dei suoi ultimi vent’anni d’attività. La città di Oviedo è per l’autore un perfetto contrappunto al suo cinema e al suo stile di vita, intriso dell’aria delle grandi metropoli statunitensi ed europee (Parigi, Roma, Londra) ma è anche lo sfondo perfetto che Allen trova per liberarsi delle sue nevrosi cittadine, di quei tic intellettuali di cui era solito riempire i personaggi da lui creati (e spesso interpretati), flaneur nevrastenici, amanti rigidi e artisti ansiosi che facevano annegare lo spettatore sotto i loro interminabili monologhi comici.
Nel clima rilassato della città spagnola, nelle sue strutture medievali e nei suoi ambienti naturali e spazi bucolici che sembrano commentare durante tutto l’arco del film lo stato d’animo dei personaggi principali, il cineasta riesce a liberarsi dei suoi caratteri archetipici dando vita a un protagonista a lui antitetico, un dongiovanni (interpretato da Javier Bardem) che con la sua leggerezza riesce a conquistare due turiste statunitensi (Scarlett Johansson e Rebecca Hall) e a trascinarle con lui in una vacanza a Oviedo. La città spagnola è, secondo il direttore dei festival del cinema di Oviedo, il luogo perfetto per cercare una svolta poetica per gli artisti, in quanto “luogo appartato del mondo, dove possono lasciare libero corso alle loro fantasie”. Il cineasta sperimenta così anche un nuovo metodo di lavoro, se è vero che per la prima volta lascerà quella sceneggiatura di ferro che ha sempre seguito pedissequamente, per concedersi anche delle piccole improvvisazioni sul set capaci di mettere in risalto, ad esempio, la tradizione culinaria della città.
Allen trova quindi, qui, l’ambiente perfetto per rinnovare la sua poetica e mettere in scena l’apologia di una fantasia fino a quel giorno frustrata e forse mai pienamente realizzabile, quella di un amore libero e privo di coercizioni. Il film altro non è infatti che un’ode alla libertà amorosa e sessuale e una fiaba romantica che si presta facilmente anche a una meta-lettura: come Allen è un cineasta con alle spalle ormai trent’anni di carriera, alla ricerca di una nuova fonte d’ispirazione cittadina che gli permetta di rinnovare la sua filmografia, così Bardem è un artista in crisi creativa che trova nelle due donne le muse che lo porteranno ad affrontare i suoi blocchi. Vicky Cristina Barcelona rappresenta quindi un’opera di rottura, la ricerca di una rivoluzione personale, un percorso di autoanalisi, di scomposizione dei propri atti creativi, atti che per il regista di La rosa purpurea del Cairo sono sempre passati attraverso le città e la loro urbanistica.
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