Fuori dal tempo - Intervista a Luca Scivoletto

I Pionieri è l’esordio nel lungometraggio di Luca Scivoletto, lunga esperienza con i corti e un romanzo omonimo pubblicato da Fandango Libri nel 2019. La storia è quella di un ragazzino, Enrico, che va alle medie in Sicilia alla fine degli anni 80, sogna di essere come tutti gli altri suoi compagni di classe e di giochi ma è figlio di comunisti, il padre dirigente del partito, vita austera anche per i figli senza familiarizzare col “nemico” (i democristiani) sullo sfondo di eventi epocali: i missili NATO a Comiso, il Muro di Berlino che scricchiola, il fantasma di Enrico Berlinguer. Ora che il libro è diventato un film - presentato allo scorso Torino Film Festival e in sala dal 13 aprile 2023 - con Claudio Bigagli nei panni del Segretario e uno stuolo di giovanissimi attori e attrici bravissimi, ne parliamo col regista.

I Pionieri è prima un romanzo. Ma tu lo avevi pensato subito per il grande schermo?
Sì, esatto. Insieme agli sceneggiatori Pierpaolo Pirone e Eleonora Cimpanelli scrivemmo un soggetto, le classiche tre pagine, ispirato a questa storia che è anche, in parte, autobiografica. Sono un po’ come Enrico, cresciuto a Modica, figlio di un dirigente regionale e poi nazionale del PCI. Quando poi mi è capitato di incontrare i produttori di Fandango c’è stata la proposta di sviluppare il soggetto per un romanzo e così ho fatto, quindi la sceneggiatura vera e propria è arrivata in un secondo momento.

Dicevi dell’autobiografismo: un film con i Pionieri d’Italia (gli scout del PCI, per capirci) e lo spettro del partito anni 50 ma ambientato alla vigilia della Bolognina sembra quasi fantascienza, una macchina del tempo...
Enrico, come me all’epoca, è inserito in una mistica del partito ormai fuori dal tempo, sta crescendo in un altro momento storico, io mi ricordo la difficoltà a identificarmi con i valori nei quali credevano i miei genitori negli anni 80 delle tv di Berlusconi e del consumismo sfrenato. Volevo rievocare quello stato d’animo in una storia che funzionasse un po’ come una favola.

I Pionieri però non è necessariamente un film politico, bensì il romanzo di formazione sullo sfondo di una grande ideologia in crisi, in chiave di commedia. Che ruolo ha Berlinguer?
Mi piaceva l’idea del mentore fantasmatico, se ci pensi è una figura non estranea alla commedia, il modello più alto potrebbe essere il Bogart che appare a Woody Allen in Provaci ancora, Sam. Volevo anche ribaltare l’immagine pubblica del Segretario, così rigoroso, riportandolo a quell’ironia condivisa che mio padre e altri mi dicevano fosse sua caratteristica nel privato. Ma il suo ruolo è comunque fondamentale nel racconto perché è il tramite tra la parte onirica e la realtà, mi piaceva che in un film visto con gli occhi di un bambino non ci fosse soluzione di continuità tra una dimensione e l’altra. Questa è stata la vera sfida.

Uno dei punti di forza sono i ragazzini, cito il protagonista Mattia Bonaventura ma sono tutti bravissimi. Come li hai scovati?
Grazie al casting di Maurilio Mangano che aveva lavorato per la preparazione della miniserie di Niccolò Ammaniti, Anna, sempre ambientata in Sicilia e sempre con bambini e adolescenti protagonisti.