Sembra ieri che Saul Goodman ci lasciava e in effetti era solamente l’estate scorsa. E tu sei lì che ci resti un po’ così, dicendo mamma mia che amarezza, ho l’età della sabbia e ancora ci rimango male quando finisce una serie bellissima. Mi sento talmente svuotato che se questo è l’andazzo, alla fine della prossima serie di Vince Gilligan sarò costretto a prendermi un mese sabbatico. Fortuna che Bob Odenkirk è una persona sensibile e comprensiva; oppure ha semplicemente un contratto capestro con AMC che prevede almeno una stagione all’anno di una serie con Bob Odenkirk anche se Bob Odenkirk lavora così tanto che poco tempo fa stava per lasciarci le penne. Ma non ce le ha lasciate, fanno notare i vertici e gli avvocati di AMC. E dunque, a meno di un anno dalla sanguinosa (per i cuori degli spettatori) e faticosa (per il cuore di Bob Odenkirk) fine di Better Call Saul, Bob Odenkirk ha già carica in canna un’altra serie di quelle lussuose, scritte bene, girate con garbo e pronte a sviscerare fino alle budella un personaggio brillante, fallace, sagace, complesso e, alla fin della fiera, molto umano.
Dunque c’è la nuova serie di Bob Odenkirk – che dopo avere azzeccato Breaking Bad, Better Call Saul e Undone si merita il badge “fiducia incondizionata” – ordinata dallo stesso network che ha prodotto e distribuito le serie di Vince Gilligan: c’è davvero bisogno di guardare il pilota per consigliare quest’inedita Lucky Hank? Un pochetto sì. Ma solo un pochetto. E il motivo è semplice: Lucky Hank ha due showrunner, Paul Lieberstein e Aaron Zelman, che sono praticamente esordienti. Lieberstein, in realtà, lo conoscete perché è stato Toby in The Office, oltretutto dirigendo svariati episodi e guidando la serie dalla quinta all’ottava stagione; ma la macchina di quella sitcom era già più che avviata e fare lo showrunner a bordo di una Ferrari con il pieno è più difficile che farlo su una macchina che stai costruendo e non sai ancora bene come verrà fuori. Anche se un’idea ce la si può fare, visto che Lucky Hank è l’adattamento televisivo del romanzo del 1997 Straight Man scritto da Richard Russo.
La storia è quella del professore universitario di scrittura creativa Henry Devereaux, Jr., detto Hank. Incastrato – da quello che lui stesso ha deciso essere il destino che si merita – in un college mediocre e fittizio di nome Railton, piazzato in uno di quei posti in mezzo alla Pennsylvania che ti fanno ricordare quanto insensatamente sconfinati siano gli Stati Uniti, Hank non ha più spazio per nessun’altra goccia e interrompe lo stillicidio routinario che è la sua vita professionale senza sbocchi sbroccando alla grande e con la discreta eloquenza che si confà a un ex scrittore frustrato.
Frantuma le speranze di un suo studente aggressivamente Gen Z e caga, con severa giustezza, in testa ai suoi fallimenti e alla reputazione dell’università che lo impiega. Hank ha detto quello che pensa e che corrisponde a un punto di vista negativo, ma condivisibile, di una realtà oggettiva; l’ha fatto, però, in maniera stronza. Quella maniera che smuove gli orgogli e fomenta l’indignazione: l’intemerata di Hank viene registrata da un’altra studentessa, diventa virale nottetempo e a nessuno piace sentirsi dire una dolorosa verità da uno sconosciuto. Men che meno con quei toni antipatici. Dunque apriti cielo.
Non solo fra gli studenti, che non sono soddisfatti delle scuse orali e personali fatte da Hank e ne pretendono di scritte e firmate per poterle pubblicare sul giornale della scuola; ma anche fra i colleghi del dipartimento di lettere, soprattutto fra quelli pomposi e dall’orgoglio fragile che si sono sentiti personalmente attaccati dall’accusa di mediocrità. Altri, invece, si sentono ispirati dal poter finalmente ammettere una grossa verità, per quanto stronza: se hanno vinto una cattedra in quel college che sta nel mucchio, significa che sono degli accademici senza arte né parte anche se non lo accettano. Stra apriti cielo. Soprattutto perché Hank, adesso, rifiuta categoricamente di scusarsi.
Ora che hanno scoperchiato del tutto il suo lato miserabile e cinico, non ha la minima intenzione di tornare sui suoi passi. Anche perché ha altri giramenti di balle per le mani: il padre assente da una vita, grande critico letterario e chiarissimo professore di illustrissima fama, sta per andare in pensione e il figlio è venuto a saperlo dalla copertina della terza pagina di un importante quotidiano nazionale. Faccenda che, unita a quella che lui vive come una carriera fallimentare, porterebbe molte persone verso il risentimento e un certo malumore.
E d’altra parte, Hank ha anche questa incazzatura generazionale addosso: non tollera che oggigiorno, per le nuove generazioni, esista la pretesa per quell’indulgenza inalienabile di cui lui, alla stessa età, non ha goduto. A lui veniva detta ogni dolorosa verità. Non gli veniva risparmiata nessuna critica,né gli venivano offerte edulcorazioni. Lui non è stato protetto a tutti i costi dal mondo, anzi. È stato preso a male parole prima ancora che il mondo ci si potesse mettere di buzzo buono. Hank dovrebbe e vorrebbe abbandonare Railton, per la gioia della diplomatica moglie vicepreside di un liceo locale, ma anche per ritrovare uno scopo nella vita. Invece non solo rimane incastrato nel posto e nella realtà che lo rendono miserabile, ma si rende anche conto che farebbe fatica a rimettersi in gioco come scrittore, nel caso in cui la sua carriera accademica dovesse andare a rotoli.
Lo sentite anche voi quanto è densa Lucky Hank? Si sente molto il debito dall’adattamento letterario e certe volte, almeno nel pilota, la presenza della voce fuori campo del protagonista è un po’ ridondante. Ma nel giro di mezza puntata, Lieberstein, Zelman e la sardonica faccia barbuta di Bob Odenkirk fanno i miracoli nello stendere con grazia e fluidità queste premesse che, esplicitate come nei due paragrafi precedenti, si rivelano invece ricche di informazioni e sfumature. Altra cosa interessante: dopo aver visto il primo episodio, non saprei assolutamente dirvi dove potrebbe andare a parare questa serie qui. Le possibilità sono praticamente infinite, così come i ruoli nelle serie tv che la gente dovrebbe continuare a garantire a Bob Odenkirk.
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