Vi faccio una domanda diversa dal solito. Arriva Rolling Stone – la rivista di cultura pop, non la celebre band di vecchini vestiti sgargianti – e vi dice che vuole scrivere un lungo reportage di sei pagine sulla vostra vita. Poi arrivo io dal futuro e vi dico che occhio, questo articolo sarà il punto di origine da cui scaturirà la vostra carriera e il vostro successo, mi raccomando, non fate stronzate, sì vengo davvero dal futuro, no non ti dico chi vince il campionato di baseball nel 2057. Quale vi piacerebbe fosse il titolo scelto da Rolling Stone? Scommetto la palla sinistra che nessuno sopra ai 19 anni avrebbe non dico il coraggio, ma proprio le energie fisico-cognitive per rispondere: “Bert Kreischer: Il laureando. Allo studente della Florida State University ci sono voluti sei anni per diventare l’uomo che è oggi: il più grande festaiolo dell’università più festaiola del paese”.
Bert Kreischer aveva 25 anni quando Rolling Stone, nel 1997, gli dedicava quell’articolo. Che è certamente lusinghiero. Ma allo stesso tempo sembra comunque il pat pat sulla testa che potrebbero fare a uno scimpanzé congratulandosi con lui per aver imparato la sua centesima parola; pat pat accompagnato da un mango bello succoso, giusto per rinforzare positivamente il bel risultato. E soprattutto quest’articolo qui è la classica etichetta che non ti levi più di dosso. Cos’altro potrebbe andare storto per sigillare quello stigma per sempre ed essere incastrato a vita nel ruolo di balordo che fa solo festa? Una commedia scoreggiona con un Ryan Reynolds a inizio carriera ispirata alla tua vita, che ha abbastanza successo da ottenere un sequel e anche un prequel per il mercato home video? Sembra fin troppo specifica come evenienza per essere inventata e infatti è proprio quello che è capitato a Bert Kreischer. Prima ancora di capire come gestire l’imperituro titolo nazionale di Re dei bagordi, Hollywood trasforma le sue gesta in una commedia veramente molto stupida; estrema stupidità che culmina il suo percorso, come spesso accade, con il titolo scelto dalla distribuzione italiana: Maial College.
Manca un terzo e ultimo step per suggellare il patto di Kreischer con gli déi pagani della festa: la libera scelta del soggetto che diventerà reliquia e che sarà costretto ad avere l’energia di un labrador fino almeno ai 73 anni. Bert lascia l’università in Florida e si trasferisce a New York, si dà alla stand-up (a petto nudo) e scopre abbastanza in fretta di essere un maledetto campione. Nel 2016 arriva anche il successo virale: il suo lungo bit intitolato The Machine circola vorticosamente su internet e gli spalanca le porte del successo, quello con il cesso maiuscolo.
Sono passati quasi sette anni e adesso sta per uscire negli Stati Uniti un omonimo film (con lo stesso Kreischer e con Mark Hamill nei panni di suo padre) che gonfia lo sketch e potrebbe essere la più grossa idiozia nella storia del cinema comico (tipo Maial College), oppure l’ennesimo colpo di genio di Bert – che, ci tiene a ricordarlo a ogni podcast in cui glielo chiedono, non ha niente contro Maial College ma non ci ha nemmeno mai avuto nulla a che fare.
Film a parte, Kreischer oggi passa la sua vita relativamente in panciolle. Nel senso che non pratica attività curricolari extra oltre a condurre i suoi tre podcast (di cui uno con Tom Segura e uno con Bill Burr), continuare a fare i suoi spettacoli di stand-up e ogni tanto registrare speciali per Netflix. L’ultimo, Razzle-Dazzle, è stato pubblicato in questi giorni come rampa di lancio per l’uscita in patria di The Machine, prevista per il 26 maggio. In questo speciale Kreischer si conferma abilissimo inventore e raccontatore di barzellette. Alcuni suoi bit hanno una brevità peculiare: non sono one-liner, ma non sono nemmeno lunghe narrazioni come quella di The Machine. Riescono ad arrivare all’essenziale con economia di parole: preparazione, svolgimento e punchline nel giro di un minuto al massimo e via con il prossimo scenario o con la battuta successiva.
Kreischer ha portato ai massimi livelli l’arte di raccontare storielle comiche, micro-narrazioni in cui gli elementi di contorno e le descrizioni contribuiscono alla risata tanto quanto la battuta che le conclude. È un comico che più matura, più insiste a parlare di cose sgradevoli, laide e, volendo, immorali. Ma lo fa mettendosi in gioco in prima persona – oltre alla faccia ci mette anche il torso nudo – e senza mai porsi al di sopra di quello che racconta. È il suo mondo ed è il suo orizzonte. E contiene una naturalezza che non sembra artatamente fabbricata per creare un personaggio. D’altronde si definisce da solo in questo modo: “Stupido come la merda e non in grado di controllare gli impulsi”. Ma nonostante sia un comico di pancia (letteralmente), si percepisce come dietro ai suoi spettacoli ci sia un lavoro certosino di scrittura e cesellatura, parola per parola, dei vari bit.
Razzle-Dazzle è, come ogni suo nuovo spettacolo, una rincorsa (mai sforzata) a trovare una o più storie che possano rivaleggiare per assurdità, epicità e ridicolaggine con The Machine. Tenendo conto del fatto che l’episodio legato a quello sketch è stato confermato da più testimoni diretti, possiamo pensare che anche tutto il resto dei suoi exploit siano resoconti di storie vere, infiorettati da un comico che ha un grande talento da affabulatore e che vive un’esistenza completamente fuori dai gangheri e, oggettivamente, molto interessante. Kreischer sembra vivere in un perfetto ecosistema comico. La sua natura balorda, completamente spensierata e infinitamente entusiasta, lo porta a infilarsi in certe situazioni (a cui arriva in certe condizioni) che poi vengono strutturate – con grande tecnica, sia nella scrittura sia nell’esibizione – in forma di stand-up e vanno a comporre i suoi spettacoli, che a sua volta gli consentono di mantenere quel tenore e quello stile di vita che alimentano la sua comicità. Una perfetta dinamo di infinita energia comica.
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