Ne intuiamo giusto la silhouette mentre lo guardiamo masturbarsi, seduto nudo sul letto e fuori fuoco. È un’inquadratura che dura solo qualche secondo, per poi replicarsi lungo il monologo. Ma nelle scene successive, mentre James spiega allo spettatore come la separazione dall’ormai ex fidanzata abbia avuto dure ripercussioni sul suo lavoro di pornoattore amatoriale (i due condividevano un profilo di coppia in cui inscenavano varie situazioni erotiche), il suo corpo nudo torna a fuoco.
Si possono ammirarne i tatuaggi e la forma longilinea, la magrezza tonica, il taglio di capelli curato e la leggera barba incolta. Solo il fallo resta celato, nascosto dietro a una serie di pixel oscurati. E quando, durante il finale, ci si aspetterebbe di poterlo contemplare, come nel culmine di un progressivo disvelamento dell’elemento cardine attorno a cui gira tutta la narrazione, le registe Cannele Favier-Benito e Alice Tubert decidono di indugiare sul primo piano del ragazzo che completa l’atto di autoerotismo a favor di camera.
Il pene resta così in fuoricampo per tutta la durata del cortometraggio. Una scelta che è in perfetto dialogo con le parole di James, parole che invocano costantemente il fallo come polo dialettico mancato della pornografia, come elemento totalizzante, fagocitante la figura maschile. Molta letteratura nell’ambito dei porn studies ha dimostrato come in ambito pornografico, quantomeno nella pornografia mainstream, l’uomo diventi puro fallo, un elemento statico ridotto all’erezione, a una performance granitica e priva di identità indotta da una regia che vede nel corpo e nel volto femminile il centro di gravità di un prodotto ideato e costruito per lo sguardo maschile.
Da queste logiche, ci spiega lo stesso James, deriva però una degradazione dell’identità dell’attore maschio, con il suo corpo che sembra diventare funzionale solamente quando accompagnato da un corpo femminile. Un problema enorme per chi, come lui, è costretto a montare la fotocamera su un treppiede, accendere l’interruttore, posizionarsi sul letto e a scoprire il proprio “modo personale di farlo”, di trovare il proprio corpo eccitante nonostante l’assenza di un polo relazionale che certifichi la bellezza e la desiderabilità di quel corpo. “Per gli uomini etero, è facile accettare di creare contenuti con una partner. È una cosa molto virile, degna di un maschio eterosessuale, il fatto di sedurre una donna, filmare e pubblicare su Internet. Al contrario, il corpo maschile, quando è il punto centrale della foto o del video, è generalmente associato a contenuti gay”.
L’onanismo a cui è costretto James è un onanismo che parte dalla sfera sessuale per esondare in altri territori, subentrando all’interno dell’ambito creativo (la sua capacità di raccontare una storia, spiega, si è dovuta adattare a forme di storytelling completamente differenti) e in quello economico (senza la partner sessuale i guadagni di riducono). Oh Boy, nell’accompagnare il discorso del protagonista con scene che non siano unicamente tratte dalla dimensione lavorativa-sessuale, ma anche con momenti in cui il corpo di James si sveglia, viene vestito, trascinato in acqua per surfare, si sforza per dotare il ragazzo di quest’identità economica, immaginativa ed erotica che lui stesso denuncia come precaria e che sembra essergli sottratta dai suoi stessi follower: “se sei davvero così sexy, perché non sei a letto con una donna e ti stai masturbando da solo?”.
Oh Boy di Cannele Favier-Benito e Alice Tubert è disponibile su arte.tv in streaming gratuito fino al 09/06/2023
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