Cose che succedono ancora nel 2023, ma che pensavamo di aver collettivamente superato capitolo 116: gente che annulla uno spettacolo/proiezione/esibizione/sfilata di carri/dis-cor-so per colpa di altra gente che si è indignata per aver sentito qualcosa che mica le andava tanto giù. Per quanto riguarda i nostri amici comici, la censura ai danni di Kevin Hart in Egitto - fortemente sospettata, ma non confermata – per avere detto cose generiche sull’Africa nera senza tenere in conto la storia e l’orgoglio dell’Africa araba, è solo l’ultimo degli esempi in un lungo, lunghissimo elenco che ha come capostipite l’indiscusso padrino, padre biologico e padrone della comicità stand-up: Lenny Bruce.
Pausa per gli applausi. Ma attenzione, non il Lenny Bruce (un po’ spettacolarizzato) del bel film di Bob Fosse con Dustin Hoffman, bensì quello vero.
Pausa per degli applausi ancora più lunghi.
Lenny Bruce tutto bello pettinato per la tv
Prima che qualcuno provi a fare il fenomeno, sgombro il campo da ogni dubbio: Lenny Bruce non era un santo e nemmeno le sue circostanze sono state troppo beate. È cresciuto in una famiglia incasinata, dai dieci anni in poi è stato sballottato da un parente all’altro, è stato costretto ad arruolarsi nell’esercito e a partecipare alla Seconda guerra mondiale – dopo due anni al fronte, nel 1945, è riuscito a farsi rispedire a casa esibendosi in drag davanti ai commilitoni e facendo impazzire gli ufficiali, che gli hanno dato un onorevole benservito per ragioni “di inadeguatezza al servizio in marina”. Scusate, ma rido tutto – e prima ancora di cominciare a fare il comico di professione viene arrestato, nel 1951 a Miami, per essersi finto un prete che raccoglieva fondi per un lebbrosario. Come si può non amarlo già a questo punto? Ma è quando comincia a esibirsi in pubblico, poi, che cominciano i veri fuochi d’artificio. La carriera nel mondo dello spettacolo di Bruce inizia tecnicamente nel 1953, ma i suoi problemi con la legge in quanto comico “indecente” e “malato” vengono inaugurati nel 1961, con la pubblicazione del suo quarto album e un’esibizione nella liberalissima San Francisco, per colpa di una routine in cui usa la parola “succhiacazzi” e si esibisce in questo meraviglioso pezzo di poesia grammaticale, in cui gioca per finta a nascondino con le ambiguità semantiche del verbo “to come” (“venire”).
Vedo altri fenomeni in agguato, pronti a ululare che Bruce era gratuito nella sua cosiddetta volgarità e godeva molto nel far raggrinzire di fastidio lo scroto alle persone che provano ribrezzo nel sentire la parola “scroto”. Ecco, non è molto vero. Lasciamo da parte il tragico fatto che Lenny Bruce di censura ci è quasi letteralmente morto – dopo l’ultimo arresto a New York nel ‘64, nonostante il supporto di gente come Frank Zappa, Woody Allen, Norman Mailer, Bob Dylan e James Baldwin, Bruce si fa il carcere, viene ostracizzato dalla tv oltre che dalla maggior parte dei club comici (manco a dirlo: fumosi) e le poche volte che riesce a esibirsi la sua arte è ormai compromessa dalle ingiustizie subite e dal conseguente inasprirsi del suo abuso di sostanze stupefacenti. Se non ci credete quando ve lo dice uno che usa la parola “scroto”, sicuramente apprezzerete maggiormente l’opinione del critico teatrale Kenneth Tynan: “È un vero iconoclasta. Altri rimbeccano, stuzzicano e punzecchiano; solo Bruce demolisce. Rompe la barriera delle risate verso un orizzonte ulteriore, dove la verità ha il suo santuario. Dicono di lui che è scioccante e hanno ragione. Parte del suo scopo, però, è proprio costringerci a ridefinire ciò che intendiamo con ‘essere scioccati’. Il punto è che Bruce non vuole solamente scioccarci, ma vuole che ci facciamo sconvolgere dalle cose giuste; non da una parola volgare che viola solo le convenzioni, ma dai bisogni e dalle privazioni che violano la dignità umana”.
La differenza tra indignarsi e arrabbiarsi è sottile e al tempo stesso lapalissiana, come quella tra labbro superiore e labbro inferiore. Che sono la stessa cosa, ma sono anche diversi. Il primo serve a indignarsi protrudendosi verso l’esterno in un gesto innaturale e anche esteticamente poco piacevole, dacché ricorda la faccia che fa la gente quando spinge forte per fare la cacca. Il secondo spunta fuori quando stiamo per arrabbiarci e in alcune selezionate persone viene anche ritenuto caruccio. Sul labbro superiore crescono i baffi tipo quelli di Hitler, mentre quello inferiore viene incorniciato da epici pizzetti tipo quello di Bryan Cranston in Breaking Bad quando diventa Heisenberg. E tu andresti più volentieri a bere una spuma con Hitler o con Bryan Cranston? Ecco, come volevasi dimostrare. Bruce ha sempre lottato per fare il suo mestiere – persona che fa ridere osservando e svelando ipocrisie e illogicità nel ragionamento umano e sociale – e per farlo a modo suo. Nella sua testa comica, io credo, non è mai esistita la paura o la voglia di indignare. L’indignazione è un sentimento contestuale e molto personale; è un porsi al di sopra di una fonte di comunicazione indicandola e giudicandola dall’alto di una supposta superiorità morale. Il più delle volte, l’indignazione è una risposta irrazionale, cattiva e dannosa. La rabbia, quella per le storture e per la censura che varia a seconda del sentimento e non di un ragionamento razionale, è una risposta dal basso, che scuote e si ribella contro la stupidità umana. “Io non sono un comico. E non sono malato. Il mondo è malato e io sono il medico. Sono il chirurgo con un bisturi per i falsi valori”.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta