È un mondo in cui tutto, sin dall’alba dei tempi, è stato fatto, inventato, costruito, pensato, comunicato, ottenuto dagli uomini – ma nulla si sarebbe potuto compiere senza il prezioso supporto della suppellettile femminile accanto al grande maschio creatore. È un po’ il senso di quella canzone di James Brown, il cui testo Rolling Stones ha definito di un sessismo biblico e sciovinista. A parziale discolpa di James Brown, quello è anche (e oggettivamente) uno dei tanti sensi che si possono dare alla parabola della civiltà umana. Ma farci su una canzone bella e provare a vendercelo come un concetto financo romantico, è uguale uguale a essere convinti che LVI abbia fatto anche cose buone.
Parla anche di questo Nolly, semi-fenomenale miniserie inglese in tre puntate, prodotta e distribuita da ITVX – ahinoi, speriamo di non dover attendere troppo per l’arrivo in Italia –, creata e sceneggiata da Russel T Davies (Queer as Folk, Torchwood, Le avventure di Sarah Jane, It’s a Sin) e graziata dalla magnifica presenza di Helena Bonham Carter nei panni dell’eponima protagonista. Nolly parla anche del fatto che, come cantava James Brown, è sempre stato ed è – la rivoluzione ha la rotellina di caricamento lenta, i processori sono un po’ datati ma almeno qualcosa si muove – un mondo fatto da uomini, pensato per gli uomini, modellato sulle esigenze degli uomini; e che, oltre a guardare al futuro, è anche il caso di tornare indietro e gettare uno sguardo su alcune vicende assumendo quel punto di vista che è spesso stato negletto o trattato con condiscendenza.
In questo caso il punto di vista è quello di Noel Gordon detta Nolly, prima donna ad apparire in una trasmissione televisiva a colori nel 1938 nell’ambito delle prime trasmissioni di prova e animale da palcoscenico – sia in teatro, sia in tv come presentatrice – fin dalla più tenera maggiore età. Nel 1975 Nolly è diventata Helena Bonham Carter ed è la più beneamata attrice di soap opera del paese. Nel 1981 è sempre Bonham Carter e continua ad andare fortissimo: Crossroads è in gran forma ed è una delle soap opera più guardate nel Regno Unito con 15 milioni di telespettatori a puntata.
Nolly, però, è una maniaca del controllo – questo se vogliamo vederla dal punto di vista di uno sceneggiatore insicuro e prepotente, i cui copioni vengono costantemente modificati e migliorati dall’attrice. In realtà è molto diverso: Nolly possiede la certezza di sapere meglio di chiunque altro come si realizzi la soap opera su cui lavora da 18 anni, dirigendo informalmente i suoi colleghi di serie apportando migliorie al loro accento, alle loro battute e al loro posizionamento in scena. I dati, i numeri, gli incassi, il rapporto con il 99% del cast e della troupe e l’affetto degli spettatori le danno, senza alcun opinabile dubbio, ragione. Ma l’orgoglio (maschile) di certi dirigenti di rete e l’ennesima interferenza di Nolly nei copioni già approvati dagli alti papaveri porta al licenziamento della diva gentile e fermamente materna, severa ma giusta.
Se c’è il dubbio che possa essere soprattutto una serie di uomini piccoli che non sono in grado di gestire emotivamente e professionalmente l’energia di donne forti, a un certo punto fanno letteralmente dire a una delle colleghe di soap di Nolly – che la sta spronando a non disperarsi dopo essere stata cacciata – di prendere in mano la situazione, annunciare pubblicamente di essere stata lei quella che si è licenziata (per non avere terra bruciata con le altre emittenti) e di “battere una volta per tutte questi dannati uomini”. Ma Nolly se ne sbatte la fagiana delle strategie e dell’immagine: indice una conferenza stampa per raccontare la verità, per annunciare di essere stata brutalmente licenziata nonostante il suo impegno a tutto tondo nella produzione di Crossroads.
Quasi a dire che una parte importante della rivoluzione viene da dentro, dal rifiuto di stare al gioco e di dover rinunciare al proprio libero arbitrio pur di poter continuare a partecipare a una pugna che si svolge con regole truccate. Nolly vuole soprattutto sentirsi libera di essere se stessa, senza scuse né compromessi. Se in quel mondo dello spettacolo non c’è spazio per qualcosa del genere, allora tanto vale fare nomi e cognomi del colpevole in diretta nazionale – una cosa piuttosto rara nell’omertosissima industria dell’intrattenimento, figuriamoci all’inizio degli anni ‘80. Facendo così, sguinzaglia un battaglione di sciure assatanate che vogliono difendere il loro personaggio preferito e la loro diva televisiva di riferimento. La risposta dei piani alti è, poco sorprendentemente, paternalistica e priva di rispetto.
La puntata pilota di Nolly è mirabile non solo per come affronta il tema che affronta e per l’indubbio fascino della donna che viene raccontata, ma anche per come viene mostrato il dietro le quinte di una produzione televisiva, tutta la filiera (dal limitato punto di vista di un attore) nella settimana di lavoro di una soap opera, dalle prime prove fino alle registrazioni in semi-diretta all’interno degli studi di posa. Verso la fine del pilota, durante un momento morto sul set con tutti gli attori (tranne Nolly) presenti, l’idea di mostrare anche i retroscena produttivi sublima in un segmento realizzato in maniera brillante, in cui soap opera, realtà e serie ispirata alla realtà si fondono nella stessa scena, ripresa sia dalle telecamere di Crossroads sia dalla macchina da presa di Nolly. Eccolo qua un buon modo per trasformare il genere più noioso e retorico del mondo, il biopic, in qualcosa di valido e memorabile.
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