Acqua cheta

Se è vero che l’acqua cheta è quella che rovina i ponti con la sua azione paziente, è altrettanto vero che i film quieti sono quelli che ti scompigliano una giornata da tanto è inaspettata la loro potenza, celata dietro il sussurro con cui ti hanno parlato fino a quel momento. The Quiet Girl (An Cailín Ciúin in irlandese) è il film d’esordio, alla sceneggiatura e dietro la macchina da presa, del prolifico regista televisivo irlandese Colm Bairéad, che ha adattato per il grande schermo il racconto breve Foster pubblicato dalla pluripremiata connazionale Claire Keegan nel 2010. Lo scorso gennaio, The Quiet Girl è diventato il primo film irlandese a essere nominato agli Oscar come Miglior film internazionale. Un riconoscimento che vale doppio, visto che il debutto cinematografico di Bairéad (e della giovanissima protagonista Catherine Clinch) è scritto e interpretato (al 95%) in irlandese, lingua celtica studiata e mantenuta viva accanto all’inglese nell’isola, ma rimasta madrelingua solo per poco più di 70mila persone concentrate nel sud del paese.

The Quiet Girl è ambientato in uno di quei luoghi estratti dal tempo, nei dintorni agresti da Contea tolkeniana del minuscolo villaggio di An Rinn, dove Càit – novenne silenziosa, introversa e negletta, appellata dal padre fallito e zoticone come “quella che vaga” e che preferisce starsene sola in mezzo a un campo – viene spedita a passare l’estate dalla famiglia povera e oberata, che sta per accogliere l’ennesima bocca da sfamare (un altro fratellino) senza averne le risorse o le capacità emotive.

Càit viene ospitata da una cugina della madre e dal di lei marito, coppia di mezza età che propone alla ragazzina un ambiente completamente agli antipodi rispetto a casa: semplice e lontano dall’essere fastoso – marmellate di rabarbaro, partite di carte, patate e tè – ma pieno di cura e di amore nei confronti delle persone e delle piccole cose. Un ambiente in cui non esistono segreti, o quasi.

Nel giro di poco meno di un’ora di film, Càit passa dalla prima volta in cui viene inquadrata – dove sorge quasi il dubbio che si tratti del cadavere di una bambina abbandonato nel canalone di un campo – a quello che sembra il primo, timido sorriso della sua giovane vita. Un momento che rappresenta anche il primo di una manciata di tuffi al cuore intensi, tanto quanto i groppi in gola.

Groppi di quelli buoni, ma anche di quelli cauti: The Quiet Girl racconta (anche) di un’oasi in un mondo difficile, in cui la perfezione e il lieto fine da favola sono una forma idealismo lontana e inconcepibile. E infatti la scena successiva al primo sorriso di Càit è fatta di tensione e di non detti. The Quiet Girl è anche (e stavolta soprattutto) una parabola di formazione e di crescita, sia per la bambina sia per i magnifici – seppur non idealizzati: che vista rara e confortante – adulti, Eibhlín e Seán, che la accolgono a braccia aperte. Insieme imparano (o re-imparano) a conoscere la vita e la morte, la meschinità della gente e le crudeltà del destino.

The Quiet Girl trasforma in una chiarissima perla di semplicità un testo che poteva facilmente scadere nel pretenzioso, nell’allegorico o entrambi. È un film gentile e pieno di grazia. Non solo la grazia con cui racconta la sua storia dritta e ineluttabile e con cui dosa le parole e i silenzi, ma anche quella con cui sceglie la messa in quadro, con cui modula l’alternanza tra momenti ravvicinati e stacchi sul totale e con cui lascia respirare il suo montaggio. Il cinema irlandese rimane fra i più vitali – e fra i più sensibili alle sfumature di umanità – in circolazione.

Il film